giovedì 28 febbraio 2013

La neve e la piazza

Per un sottofondo:


La neve e la piazza


In una piazza affollata, ma confusa, un giorno si incontrarono due vecchi volponi. Stavano su una sorta di piedistallo, non poi tanto giusto, ma oramai presente. Non tanto stabile, specie per la folla di sotto in confusione, ma loro sembravano star bene lì. Consapevoli o meno della loro situazione.

Entrambi avevano una bandiera. Dietro la bandiera, alcuni appunti: delle liste, cose da fare nel prossimo futuro e in quello meno prossimo.
Le bandiere erano belle, ogni volpone ci teneva tanto alla bandiera che portava.
Forse troppo.

Ma le bandiere erano anche brutte: perché, da una parte, nascondevano le parole incise dietro di loro. Dall'altra, erano così ampie che impedivano ai due volponi di vedere tutta la folla della piazza: confusa, ma ansiosa e speranzosa. Forse piena di difetti, ma sempre viva. E per chi non lo sapesse, ogni vita è irripetibile. Non è mai bello calpestarla, o ignorarla, solo perché ha fatto qualche errore. Perché è uno scrigno potenziale di cose che non torneranno più.

Quelle bandiere, non nascondevano solo le parole che avevano incise sul retro, e la folla che guardava i due volponi, ma non permettevano neppure ai due di guardarsi.

Così, i due volponi si guardavano le scarpe, senza veramente guardare la folla, né il proprio interlocutore. Avevano belle scarpe(anche se avevano qualche toppa, entrambe le paia). Ma non sapevano chi le avesse più belle. Così litigavano per quelle. Ognuno diceva che la folla si era radunata per vedere le sue scarpe. "Guarda quanta gente! Vengono per vedere le mie scarpe!" "Ma no! Vengono per vedere le mie!" "Ma allora sono stupidi, non capiscono niente, come si fa ad ammirare delle scarpe così!" "E' colpa tua, le tue sono scarpe fosforescenti e attirano gente, ma in realtà sono orribili! Sei un menzognero!""Ma sono così perché il tuo calzolaio, vent'anni fa, ha prodotto i materiali sbagliati. Troppo colorati, troppo farlocchi. Ci credo che è fallito, poi!" "Ma no, è colpa del tessitore che, 25 anni fa, ha intessuto la stoffa sbagliata, la pelle più brutta!"

E ovviamente continuarono così, per questa via.
La folla li guardava, senza sapere davvero che fare. E una folla non è mai una vera folla: è composta da tanti singoli individui. Per fortuna. Perché una persona, è irripetibile. Ma una folla, è una cosa che si ripete spesso: è così noiosa!

Qualcuno tra la folla scriveva dei piccoli bigliettini come dei post_it, di tanti colori diversi, poi li lasciava andare nel vento: fissava per un po' il suo bigliettino sperdersi nel cielo, poi non se ne curava più: per un attimo si concentravano sul piedistallo dei volponi, sul cielo stesso, poi tornava a far niente. Come se tracciare quel post-it fosse l'unica cosa che potesse mai fare.

Alcuni tra la folla urlavano che le scarpe del primo volpone erano talmente belle - come del resto la sua bella bandiera - che non era neanche il caso di fare un confronto, di discuterne. Altri si limitavano a insultare il secondo volpone perché aveva delle scarpe troppo nuove, non sapeva apprezzare le regole della moda. E certe cose, accipicchia, vanno rispettate. Altri ancora, arrivavano a dire che le scarpe del primo volpone erano brutte (o troppo piccole), per colpa delle scarpe del secondo volpone, che erano troppo appariscenti (o troppo grandi) e viceversa.
Altri ancora, quasi tremanti, puntavano il dito contro il piedistallo in mezzo alla piazza, dove stavano i due volponi, e facevano notare che se continuavano a litigare, sarebbe caduto e, per la cronaca, caduto sulla folla.
Altri ancora gridavano che quel piedistallo proprio non dovrebbe esserci.
Certi altri, ancora, urlavano che quel dannato piedistallo farebbe bene a cadere, ma possibilmente un po' più in là.


In tutto questo caos, come per aumentarlo (o forse no) arrivò una gelida bufera: era tremenda, spazzava via i pochi abiti della folla confusa, che si mise a tremare per il freddo. La neve scese a coprire i lustri e le statue della piazza, ed il vento scuoteva anche il piedistallo su cui stavano i due volponi.
Alcuni piansero, vedendo le statue nascoste nella neve: quella bellezza sprecata, perché nessuno poteva più vederla. Ma la maggior parte nemmeno se ne accorse. Pensava che l'unica cosa da guardare fosse quel piedistallo.

Allora la folla gridò ai due volponi che con quella bufera avrebbero fatto bene a decidersi, altrimenti sarebbero congelati tutti.

Alla fine, non si seppe bene come finì tutta questa strana storia.
Come sempre, in tutte le cose c'è una versione ufficiale, ed una ufficiosa. E di solito non si è mai d'accordo su quale sia quella ufficiosa, e quale sia quella ufficiale.

Qualcuno dice che alla fine la bufera divenne ancora più gelida, trasformò in statue di ghiaccio (immobili, ma ancora col pensiero del litigio nel cervello di brina) i due volponi, e sterminò gran parte della folla.
Qualcun altro dice che la bufera portò via le due bandiere. Le disperse nel vento. Ed allora, allora i due volponi furono costretti ad alzare lo sguardo dalle proprie scarpe: alzarono i visi e videro le scritte dietro alle bandiere.

Notarono che, oltre la parte anteriore, quelle bandiere portavano scritte, liste e progetti in parte simili. E allora smisero di litigare. Non son mica diventati amici, sarebbe una cosa un po' falsa. In fin dei conti erano volponi molto diversi, con bandiere diverse. Ma smisero di guardare solo la parte anteriore, di quella banidera, e cucirono, di volta in volta, le parole che si assomigliavano, a formare un racconto caldo, che potesse scaldare almeno un po', da quella tremenda bufera.

Altri ancora, dicono che invece ad un certo punto la folla se ne andò. E i due volponi rimasero a litigare e congelare sul loro piedistallo. E neanche si accorsero, di non avere più una bandiera, e che i loro piedi erano nudi.

martedì 26 febbraio 2013

Le lacrime di Montorfano



Montorfano. Perché Montorfano? Perché un tempo il monte, sì, quello che assomiglia un po'ad un brontosauro addormentato, un po' ad una tartaruga senza testa, era legato ai monti di Brunate. Un tempo. Poi litigarono. O forse fu un movimento terrestre. Una scossa. Una cosa così. E si separarono, da allora quel monte è un monte solo: un monte orfano. Tutto vero? Alle volte. Perché la verità è una cosa così. Un momento. È qualcosa che percepisci vera, essenziale, netta in un dato momento... come una crepa nel ghiaccio che poi viene ricoperta da una nuova notte di freddo. O un'increspatura nel lago che presto svanisce, per ricomporsi altrove, un poco più in là. Uguale e diversa. Tu di' una frase... ed aspetta che sia vera. Quando l'onda passa, sentirai il bisogno un'altra increspatura, e per un po' sarà più vera di prima. Per dire, Montorfano si chiama Montorfano perché è sempre stato solo. Guardava gli altri monti e si sentiva diverso, triste, malinconico. Tutti con la loro mamma, e lui abbandonato a sé stesso. Senza uno straccio di roccia per farsi compagnia, e per giocare con gli ululati del vento alla sera. Era immensamente triste. Così un giorno, quando dei bambini gli chiesero come mai era così giù, lui gli raccontò la sua verità: si sentiva terribilmente abbandonato. Inesorabilmente solo. E allora pianse, pianse, pianse. E le lacrime scesero giù come una sorgente, fino a scavare una conca nel terreno e riempirla dell'amarezza del monte. Allora i bambini cominciarono a gridare: "Basta, non piangere Monte. Guarda, guarda! Non sei più solo". Orfano guardò in basso, e vide che ai suoi piedi era sorto un altro monte. Un fratello gemello, del tutto uguale a lui. E allora monte sorrise. E in effetti, ancora oggi, se lo guardi dalla giusta prospettiva, nel momento giusto, riesci a vederne le labbra verdognole, ed una fila di denti azzurri, un po' increspati.