mercoledì 4 dicembre 2019

Il pomodoro e le palline


Il pomodoro e le palline


Mi guardo allo specchio: vedo un volto giovane, arrossato ed affilato, con qualche brufolo di troppo, le occhiaie da sonno e circondato da un cespuglio di folti capelli neri e ricci. Vedo un paio di grandi occhi nocciola. Forse delle nocciole acerbe, o con ancora la buccia, perché virano blandamente nel verde. Sotto un naso piccolo ma con una fastidiosa gobbetta il mio riflesso riporta delle labbra abbastanza carnose, ma sempre tese in una smorfia che non mi piace. 

Oggi sono al quindicesimo giorno di scuola, e mi pare di essere al quindicesimo mese ininterrotto. Mi guardo allo specchio ma sto solo riflettendo sulla giornata che mi aspetta. Ci saranno due ore di Filosofia, dove non discuteremo, ma dovremo memorizzare uno schema che parla dei pensieri di Cartesio o chi per lui, seguiranno due ore di Italiano: amo leggere eppure le trovo di una noia mortale, sarà che in quell'ora non si legge, piuttosto si parla di epiteti epici e di nomenclatura grammaticale, o si fanno inutili esercizi. Poi un'ora di Matematica per finire in bellezza, dove calcoleremo equazioni esponenziali o logaritmi, utilissimi per fare la spesa o decidere se mettere o meno soldi in banca, suppongo. Chiudo gli occhi, smetto di vedermi ma non riesco a fermare i pensieri. Quando li riapro sono ancora lì. Sbuffo e mi gratto sotto al reggiseno, poi vado ad infilarmi una canottiera ed una felpa scura. Sto bene attenta che il cappuccio cali il più possibile sulla mia faccia, prima di uscire a prendere il bus. 

Mi appendo alla barra di sostegno, che al solito non c'è posto per sedersi. Molti dei passeggeri sono mie compagne di scuola: perlopiù parlano di qualche ragazzo carino, qualcuno copia i compiti, altri non alzano lo sguardo dal telefono neanche per un secondo. 

Una volta ho sentito un'intervista di un regista di cui non ricordo il nome: raccontava che a Tokio si divertiva a fissare i volti delle persone mentre erano intenti a fissare

L'ultimo panda




C'era una volta un panda che voleva morire. Solo che non capivano (gli altri, il mondo) che voleva morire. Per la verità non voleva solo morire, voleva proprio estinguersi come specie, in sostanza, una specie di suicidio di massa: voleva fare le cose in grande.
Infatti, il panda di cui stiamo parlando, era l'ultimo della sua specie, e, quando sei l'ultimo della tua specie, hai delle grosse grane. Responsabilità che ti porti sulle spalle pelose, per dire. Se ti suicidi, perché ti sei rotto le palle pelose di questo mondo, beh, devi considerare che toglierai un'intera specie dal globo.
Solo che oh, questo panda, poveraccio, forse a ragione, se ne fregava anche un tot di togliere una classificazione scritta sulle odierne tavole di Linneo o chi per lui: il panda si era rotto le balle di mangiare bambù, grufolare nell'erba e vedere tramonti. Basta bambù, basta tramonti, basta erba. Basta vita.
Se ci si pensa, già in se queste bestie son tendenzialmente poco inclini a vivere, come specie: informatevi su wikipedia, per dire: mangiano solo bambù, e neanche tutto il bambù del mondo, ma uno in particolare. Fanno i pignoli perfino nel loro essere pignoli. Mica basta quello, a dirla tutta. Perché, tra le altre cose, i Panda hanno voglia di scopare tipo una volta all'anno. E per una settimana, insomma, se vogliono mantenersi come specie, devono farlo in frettissima e muovere il culo a sfornare cuccioli, altrimenti nada, "mi estinguerò", fine, caput.
Solo che questa idea di finire, di reclamare per sé il buio, ecco, non è che sia facile per loro: un sacco di gente ha deciso per loro che non è il caso di togliere quei graziosi e grossi orsi pelosi bianchi e neri dal mondo, e dalle classificazioni alla Linneo dal globo.
Per questo motivo, vengono costretti a vari abusi mica da ridere. Nell'ordine: vengono controllati, registrati e monitorati da un sacco di scienziati che li nutrono, e tentano di dar loro da mangiare altri tipi di bambù. Gli stessi scienziati rompicoglioni tentano anche di farli scopare. A questo scopo, ho sentito, li piazzano perfino davanti allo schermo, per mostrare loro dei panda che scopano. In sostanza li costringono a guardare dei porno.
Ora, tra le varie cose che uno può essere costretto a fare, forse vedersi un porno è la peggiore. Te stai seduto, grufolando nell'erba con il tuo particolarissimo, unico e pregiatissimo bambù, ed una specie aliena ed anche un po' stronza (sicuramente non in grado di farsi i cazzi propri) viene lì e ti impone non solo di guardarti un porno di dubbio gusto, ma anche di imitarlo. Che cazzo di romanticismo potrebbero mai apprendere i cuccioli di Panda, eh?
Che poi...
C'è un concetto più profondo, se ci si pensa, no? Voglio dire, questi panda del cazzo vogliono morire. Vogliono, inutile dirsi scuse: mangiano pochissimo, non scopano mai, sono enormi e grassi eppure debolucci, sono scazzati. Sono, in poche parole, contrari alla legge primaria della Natura: sono contrari alla sopravvivenza. Ma è davvero un reato? Davvero uno deve essere costretto a sopravvivere, anche quando, evidentemente, non ha ragioni o voglia di farlo?
Il panda è la figura tragica e sfigata del divieto di assenza. Dell'obbligo di presenza. Devi partecipare, anche quando di partecipare non ne hai un cazzo di voglia. Anche quando vorresti solo ritirarti in te stesso, anche quando questo mondo non sai da che parte prenderlo.
È il simbolo stesso della sopravvivenza e dell'esistenza. I panda sono tutto questo.
Forse... forse... solo per questo meritano di essere salvati.
E noi meritiamo forse di essere odiati, per questo salvataggio obbligato. Per questa libertà obbligatoria.