domenica 30 settembre 2012

Preferirei di no

"Nella fretta e nella naturale aspettativa di un'immediata obbedienza, me ne stavo seduto con la testa china sull'originale posato sulla mia scrivania, la mano destra di lato, nervosamente tesa nel porgere la copia, in modo che, emergendo dal suo cantuccio Bartleby potesse afferrarla e procedere all'esame senza il minimo indugio. Figurate la mia sorpresa, anzi la mia costernazione, quando, senza muoversi dal suo angolino, con voce singolarmente soave, ma ferma, Bartleby rispose: «Preferirei di no.»" Herman Melville, Bartleby lo scrivano.

venerdì 28 settembre 2012

Andai nei boschi

Sono andato nei boschi perché volevo vivere liberamente. Affrontare solo il fatto essenziale della vita e vedere se potevo apprendere ciò che aveva da insegnarmi, piuttosto di scoprire, nell'ora della morte, che non ero vissuto. Henry David Thoreau, Walden Del resto, in modo fin troppo letterale, qualcuno ci è andato davvero:





 A voi vi è mai capitato? Sì, ok, è forse più usuale pensare di andarsene ai Caraibi, in America, a Capo Verde o chissà dove, ma c'è anche chi, nel fantasticare la sua fuga dallo stress, dalla città, dalla società, dalle gabbie che lo attorniano e lo circondano, pensa di andarsene in montagna, nel bosco.

Conosco gente che ogni tanto salta fuori con l'allevamento di capre, o la semplice fuga nella baita deserta sopra il lago. Ora, sono interessanti questi "sogni", a differenza di quello dei Caraibi. Il secondo, delinea solo un evidente stato di stress (diciamo pure di scazzo) per cui si ha una gran voglia di spiaggia, cocktail, mare...

Ma decidere di andare a vivere nei boschi, come eremita o magari facendo parte di una comunità ecologica e autonoma (o mirante ad esserlo) di qualche tipo (in Italia ce ne sono più di quanto ci si aspetti, specie tra Marche e Toscana), dimostra invece una voglia di libertà, di inventarsi un metodo "altro" per campare e per vivere, senza per forza essere costretti alle abitudini, alle retoriche ed agli obblighi della città. Cambiano i tempi, cambiano i sogni. O forse le utopie, le strade che in qualche modo, colme di ricerca e di speranza, inseguono un destino personale, un walkabout.

 Ecco, a volte restano sogni, a volte qualcuno invece ci prova direttamente, praticamente. Senza neanche andare lontano, perché poi tutto dipende da una scelta concreta, un atteggiamento. Che poi la scelta sia continuativa o solo un esperimento, in fondo non cambia, se lo si fa per testarsi, mettersi alla prova (ognuno a modo suo). Un sentiero lo si può percorrere per un po', e poi decidere di cambiarlo. Tutto sta nell'avere ancora, un'altra scelta...

 Offro qui due esempi, quello di Mattia, un ragazzo dal vago accento bresciano, che da qualche tempo vive in una roulotte, su un terreno delle Marche, non lontano da qualche paesotto, che coltiva il suo orto e prevalentemente dei suoi frutti si nutre, che ha scelto le lucciole e le stelle invece delle discoteche e dei cinema.  http://www.youtube.com/watch?v=C9NL6cDCAJQ&feature=relmfu

Il secondo, tratta di Giovanni, un uomo che, sì, è decisamente in cerca, ha fatto varie esperienze all'estero (non parlo di lavori o di curricula, ma di vita) è che per ora ha trovato rifugio in mezzo al verde, anche lui vicino ad altre comunità, anche lui nelle Marche, anche lui in modo indipendente, autonomo, per poter scegliere di liberarsi da catene ed ambienti che non sentiva più propri. http://www.youtube.com/watch?v=VT-fRvRp_fc&feature=relmfu

Aforismi, Henry David Thoreau

“Law never made men more just; and, by means of their respect for it, even the well-disposed are daily made the agents of injustice. A common and natural result of an undue respect for law is, that you may see a file of soldiers, colonel, captain, privates and all, marching in admirable order over hills to the wars, against their wills, indeed, against their common sense and consciences. They have no doubt that it is a damnable business in which they are concerned; they are all peaceably inclined. Now, what are they? Men at all? Or small movable forts, at the service of some unscrupulous man in power? The mass of men serve the State thus, not as men mainly, but as machines, with their bodies. They are the standing army. In most cases there is no free exercise whatever of the judgment or of the moral sense; but they put themselves on a level with wood and earth and stones; and wooden men can perhaps be manufactured that will serve the purpose as well. Such people command no more respect than men of straw, or a lump of dirt. They have the same sort of worth only as horses and dogs. Yet such as these are commonly considered good citizens.” - Henry David Thoreau (Civil Disobedience) "La legge non ha mai reso gli uomini più giusti; e, per il loro rispetto per essa, persino i meglio disposti sono quotidianamente resi agenti dell'ingiustizia. Un comune e naturale immeritato rispetto per la legge è, come puoi vedere nelle file di soldati, colonnelli, capitani e tutti loro, marciando in un ammirabile ordine sulle colline andando alla guerra, contro la loro volontà e, peggio, contro il loro senso comune e la loro coscienza. Loro non hanno dubbi di essere dentro un dannato affare, essi sono inclini alla pace. Ora, che cosa sono? Uomini ancora? O piccoli forti mobili, al servizio di spregiudicati uomini di potere? La massa di uomini che serve lo Stato così, non principalmente come uomini, ma come macchine, coi loro corpi. Loro sono l'esercito permanente. In ogni caso non c'è esercizio libero di giudizio o della morale comune; ma essi mettono loro stessi tra la legna e la pietra; e uomini di legno possono forse essere costruiti affinché servano bene gli stessi propositi. Questa gente non ha più rispetto di un uomo che di un fuscello di paglia, o una zolla di polvere. Hanno lo stesso valore dei cani e dei cavalli. Nonostante questo, sono comunemente considerati buon cittadini. - Henry David Thoreau (Civil Disobedience)

mercoledì 26 settembre 2012

La giostra

America del Nord: Wyoming. Spiazzo erboso del Custer: luna park della famiglia Shandy. Giorno di chiusura, mattina presto. «E smontati... smontati smontati smon... Oh! Ce ne hai messo a staccarti, eh!» Billy Mustang si asciugò il sudore della fronte, nel farlo si accorse di essersi completamente sporcato di grasso il viso. Imprecò un paio di volte prima di gettarsi per metà nella fontana del parco. Tornò poi sui suoi passi per controllare la meccanica dell'ottovolante. Sospirò con una certa faticosa soddisfazione: manometterlo non era stato così facile. Non poteva certo crollare subito, il vecchio. C'è un momento adatto per tutto. E quello, era decisamente il momento di ereditare. Diede un'ultima occhiata al suo lavoro: il freno era andato. Tirare la leva poteva essere, ora, solo un inutile esercizio di ginnastica. Con lo sguardo seguì il percorso dell'ottovolante: sarebbe partito lentamente in pianura, per poi salire inesorabilmente fino in vetta. Da lì sarebbe disceso velocemente e, senza quasi rallentare, avrebbe compiuto il fatidico giro della morte. Nome quanto mai azzeccato, questa volta, perché sarebbe stato proprio in quel momento che la fila di cabine metalliche si sarebbe staccata, precipitando al suolo con Edward Shandy a bordo. Si mosse poi verso il capanno di legno, a una ventina di metri dalla giostra. Dentro c'era il generatore generale e gli interruttori elettrici di ogni attrazione. Voleva essere sicuro di non avere impedimenti, perciò lo chiuse e prese le chiavi del capanno: erano fissate, come sempre, su un chiodo di fianco alla porta, a poco più che altezza d'uomo. Le buttò a casaccio qualche metro più in là, nell'erba. Portarle via sarebbe stato troppo sospetto ma, nel caso la figlia fosse accorsa a spegnere tutto intuendo il pericolo, o se avesse dovuto fingere di farlo lui stesso, i secondi necessari a recuperare la chiave sarebbero risultati fatali. Come spesso capita nella vita: è questione di tempismo. Tornò poi in casa, mentre tutti ancora dormivano, fece una doccia canticchiando “Ring of fire”, di Johnny Cash. Be', non era proprio “Ring of fire”, di Johnny Cash, ma un po' tentava di assomigliarci. Ebbe uno strano tremito quando si guardò a lungo il pisello allo specchio, poi indossò un accappatoio verde e andò in cucina a preparare la colazione per tutti. Tutti che, nel caso specifico, erano sua moglie e il padre di lei. Lavorava in quel luna park da circa dodici anni, ed era sposato con Lucy Shandy da quattordici. Ed erano almeno quindici anni che aveva le palle piene del suocero. In sé non era neanche così stronzo, ma aveva quel suo fare terribilmente benevolo, comprensivo, quasi angelico, tale da riuscire effettivamente a fargli ricordare in ogni istante che se aveva un lavoro, era per lui, che se aveva una moglie, era per lui, che se non era proprio nella merda, era per lui. Lavorava, insieme al suocero, alla manutenzione delle giostre. Da dodici anni. E ogni anno, ogni giorno, lui era lì a ricordarglielo. Aveva più volte parlato di questo con la moglie, ma lei aveva un modo tutto suo di alzare le spalle e sorridere, riuscendo a compatire in un solo secondo tanto l'età e il carattere del padre quanto la sua sfiga. E, insieme, di chiudere ogni discussione. Lui odiava quella situazione quanto lei odiava quegli argomenti. Fecerò colazione in silenzio, mangiando uova e pancetta fin quando Billy non decise che era ora di struzzicare il suocero. «Signor Shandy ma, mi tolga una curiosità», girò lentamente il capo ad inquadrare l'intero parco giochi «Lei l'ha mai fatto un sacrosanto giro sulle giostre?». Edward gli rispose mescolando il suo caffè «Be', ogni tanto mi faccio un tuffo nel passato andando sui cavalli, o sul barcone... ma credo d'essere un po' troppo vecchio...» «Ma... l'ottovolante?» «Quello no.» «E perché?» Edward alzò le spalle, mentre il nuoro rincarava «Su avanti, lo ammetta, gestisce questo luna park da anni e anni e non è mai salito sul suo ottovolante.» «Non è vero.» «Voglio dire, non è la migliore delle impressioni che si può dare. Ci salirebbe su una giostra sulla quale il proprietario ha fifa ad avvicinarsi?» «Dove vuoi arrivare, Billy?» «Niente... solo, non ha il fegato per andarci» provocò. «Questa è bella, bella davvero,» ridacchiò il vecchio, pulendosi la bocca dall'unto del bacon. «Sono qui da più di metà della mia vita, come pretendi che non abbia mai provato tutte le giostre del parco?» «L'ottovolante no, sicuro.» Il vecchio scosse il capo con fare sardonico. Allora Billy riprese. «Su, mi dia soddisfazione, per una volta: cento dollari se si fa un giro ora sull'otto.» «Non scommetto denaro, non è da uomini onesti.» «Allora facciamo così: domani mi faccio doppio turno gratis e la lascio riposare, se ci sale.» «Bah, se proprio ci tieni a sgobbare per niente. Il fatto è che, Billy, per me neanche tu ci sei mai salito.» «Sa bene che non è vero... ad ogni modo, a lei il primo e poi la seguo, ok?» «E perché non insieme?» «Perché non voglio che mi abbracci per tutto il tempo, signor Shandy – ridacchiò Billy – una prova di coraggio si fa da soli: ci sta?» Shandy lo guardò con compassione, come si guarda un bambino che giocherella troppo convinto su una macchina da adulti «va bene, Billy, va bene...» Uscirono così di casa per raggiungere l'ottovolante, con passo fin troppo lento, e per l'età di Shandy, e per il sarcasmo di Billy, quando una donna in jeans e coda corvina li superò entrambi e, con un agile saltello, entrò in una cabina dell'ottovolante. Era la moglie di Billy. Entrambi la guardarono straniti, l'uno immobile e l'altro scuotendo gentilmente il capo. «Sembrate davvero quei politicanti che tanto odiate, sapete? Chiacchere e chiacchere, e poi vi fermate in mezzo al parco» rise, Lucy Shandy. «Ora, scommettiamo una cena di pesce da Andrea che la gentil donzella qui presente vi bagna il naso a entrambi e senza troppe storie si fa un bel giretto sull'otto?» Edward ridacchiò, tra l'orgoglioso e il soddisfatto. Billy iniziò a tremare. «Dai Lucy, scendi di lì, non è proprio il caso.» «Che? Una donna ora non può salire da sola sulle vostre cose da uomini? Sono troppo poco forte e virile o forse hai pura che Andrea ti spenni?» Lo provoco'. «Credo proprio che ci abbia fregati, caro mio» sorrise Edward, avviandosi ad azionare la partenza della giostra. «No!» Sbottò Billy, prendendolo per un braccio. «Ora sei davvero ridicolo, amore. È solo un gioco», lamentò lei. «Va bene... va bene, abbiamo giocato abbastanza, ora scendi, su, scendi di lì.» Billy per la seconda volta si asciugò il sudore dalla fronte. Edward si liberò dalla presa dell'uomo. «Quant'è vero iddio, non ti facevo così maschilista, figlio mio.» «Non sono tuo figlio» Billy gli rispose con rabbia. «Certo che sei strano forte tu, si può sapere che ti prende?» Billy scosse vigorosamente il capo, cercando di non guardarlo. Lo avrebbe ammazzato di botte, ma Edward riprese: «Con quel che ho fatto per te, queste risposte del cazzo proprio le dovresti evitare, e sai bene di cosa parlo.» «Sì, della merda che ogni volta devo pulire, della tua compassione del cazzo, io non ti ho mai chiesto proprio nulla. Nulla!» Edward lo colpì con uno schiaffo. Billy avvampò, ma non di rabbia: di terrore. Lucy era scesa dalla cabina mentre i due uomini litigavano, e piena di risentimento per il loro battibecco aveva azionato la partenza della giostra da sola, ed ora ci stava risalendo. Billy scavalcò il suocero, fece per fermarla, ma la cabina era troppo lontana. «No, no Lucy, ti prego, scendi di lì!» in risposta ebbe solo uno sguardo furente, colmo di rabbia per i discorsi che avevano sempre fatto, e che suo marito si ostinava a buttare al vento, litigando con suo padre... Billy, preso dall'agitazione del momento, si precipitò alla leva del freno per fermare la macchina, ma fu inutile: l'aveva manomessa questa mattina. Edward lo guardava come si guardano i dementi: con un briciolo di compassione, ma senza speranze. Allora corse a perdifiato al piccolo capanno dove stavano gli interrutori elettrici: doveva arrivarci prima che la giostra arrivasse al giro della morte, poi, sarebbe stata la fine. Sbattè contro la porta di legno: fece per aprirla, ma era chiusa. Alzò il braccio a prendere le chiavi che erano sempre attaccate al chiodo: niente. Nella frenesia del piano e nel panico dell'imprevisto, aveva dimenticato di averle gettate nel prato, questa mattina. Quando se ne ricordò, si gettò a terra alla loro spasmodica ricerca, scorticando zolle ed erbacce, sassi e grilli: le trovò infine con le mani tremanti e le inserì nella toppa della porta. Riuscì finalmente ad aprirla, quando dietro di sé sentì un terribile rumore metallico, un'eco struggente, urla, e infine lo schianto. Fissò il panello elettrico attonito. Non si era mai sentito così solo.

domenica 16 settembre 2012

Il bene e la bontà

Quella notte il cane, il gatto, il topo si ritrovarono a casa dell’orso. Si trovavano sempre a casa dell’orso, in verità, perché aveva la casa più grande. La singolarità di quella notte, non risiedeva infatti nel luogo d’incontro, e neanche in qualche partecipante: quei cinque infatti si ritrovano ormai da anni per i loro simposi. Simposi, sì. Infatti erano tutti animali filosofi, e coltivavano il piacere d’incontrarsi, per scambiarsi le loro opinioni sugli argomenti più svariati. Decidevano qualche giorno prima di cosa parlare, e al giovedì sera s’incontravano: erano animali da giovedì sera, del resto. Quella sera l’argomento della sera era “il Bene”. Argomentazione importante, disse l’orso, che era solito iniziare il dibattito presentando l’argomento in modo pragmatico. Che cosa rende una vita buona? Domandò ai suoi ospiti. Il primo a rispondere fu il cane, ben certo di cosa dire: la bontà della vita era certamente il lavoro, per cui la vita migliore era quella dedicata esclusivamente al lavoro. Il gatto scosse la testa quasi con sarcasmo, replicando che sulla dignità e la bontà del lavoro ci si riempiva troppo la bocca. Spesso il lavoro duro e monotono rendeva acidi e schiavi gli animali (non disse per rispetto del suo amico che proprio il cane ne era una decisa dimostrazione). No, il Bene, con la B maiuscola, era senz’altro il divertimento. Il topo, guardò tutti gli altri, ma non disse nulla. L’orso interroppe allora il suo fastidioso silenzio, e disse che il Bene (sempre con la B maiuscola) era la meditazione, l’ascetismo. Sia il lavoro, sia il divertimento, non erano che beni effimeri: l’uno portava alla fatica e alla monotonia, l’altro all’ozio e talvolta alla depravazione. Il Bene, era nella beatitudine della meditazione. Nella pace dell’ascetismo. Poco dopo, nel mutismo continuo del topo, il gatto, l’orso e il cane cominciarono a litigare con foga: scappò anche qualche insulto e qualche scappellotto, in nome del Bene. Facevano tanto chiasso, che non sentirono neanche bussare alla porta. Il topo invece, autoescluso da quel dibattito, andò ad aprire: fuori c’erano due mendicanti, con le mani protese. Non fecero in tempo a dir nulla, che il topo portò loro la sua razione di formaggio del giorno (era un topo molto povero), ringraziandoli per il sorriso che gli venne dato in cambio. Si voltò con lo stomaco vuoto e il cuore pieno, guardando gli altri litigare. Ma non ci dava troppo peso: si sentiva bene.