domenica 16 settembre 2012
Il bene e la bontà
Quella notte il cane, il gatto, il topo si ritrovarono a casa dell’orso. Si trovavano sempre a casa dell’orso, in verità, perché aveva la casa più grande. La singolarità di quella notte, non risiedeva infatti nel luogo d’incontro, e neanche in qualche partecipante: quei cinque infatti si ritrovano ormai da anni per i loro simposi.
Simposi, sì. Infatti erano tutti animali filosofi, e coltivavano il piacere d’incontrarsi, per scambiarsi le loro opinioni sugli argomenti più svariati. Decidevano qualche giorno prima di cosa parlare, e al giovedì sera s’incontravano: erano animali da giovedì sera, del resto.
Quella sera l’argomento della sera era “il Bene”.
Argomentazione importante, disse l’orso, che era solito iniziare il dibattito presentando l’argomento in modo pragmatico. Che cosa rende una vita buona? Domandò ai suoi ospiti.
Il primo a rispondere fu il cane, ben certo di cosa dire: la bontà della vita era certamente il lavoro, per cui la vita migliore era quella dedicata esclusivamente al lavoro.
Il gatto scosse la testa quasi con sarcasmo, replicando che sulla dignità e la bontà del lavoro ci si riempiva troppo la bocca. Spesso il lavoro duro e monotono rendeva acidi e schiavi gli animali (non disse per rispetto del suo amico che proprio il cane ne era una decisa dimostrazione). No, il Bene, con la B maiuscola, era senz’altro il divertimento.
Il topo, guardò tutti gli altri, ma non disse nulla. L’orso interroppe allora il suo fastidioso silenzio, e disse che il Bene (sempre con la B maiuscola) era la meditazione, l’ascetismo. Sia il lavoro, sia il divertimento, non erano che beni effimeri: l’uno portava alla fatica e alla monotonia, l’altro all’ozio e talvolta alla depravazione. Il Bene, era nella beatitudine della meditazione. Nella pace dell’ascetismo. Poco dopo, nel mutismo continuo del topo, il gatto, l’orso e il cane cominciarono a litigare con foga: scappò anche qualche insulto e qualche scappellotto, in nome del Bene. Facevano tanto chiasso, che non sentirono neanche bussare alla porta. Il topo invece, autoescluso da quel dibattito, andò ad aprire: fuori c’erano due mendicanti, con le mani protese. Non fecero in tempo a dir nulla, che il topo portò loro la sua razione di formaggio del giorno (era un topo molto povero), ringraziandoli per il sorriso che gli venne dato in cambio.
Si voltò con lo stomaco vuoto e il cuore pieno, guardando gli altri litigare.
Ma non ci dava troppo peso: si sentiva bene.
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