I
due ragazzi entrarono nel salone sporco e si guardarono intorno:
tutto sembrava lasciato come era da anni. C'era una vecchia pipa su
di un piatto di legno, sul bracciale della poltrona impolverata, a
poco dal camino pieno di cenere e rimasugli, chissà da quanto tempo.
Un gomitolo di lana mezzo rovinato sul grande tappeto indiano che
copriva, quasi per intero, la superficie di quella stanza. Un altro
tappeto era, stranamente, appeso ad una parete, come fosse un arazzo,
ma quel che mostrava era solo un rosso unito e continuo e un odore
vagamente stantio e sapeva di vecchio.
Non
c'era molto altro, se non un piccolo mobile bar molto poco fornito,
ed un tavolino circolare. Su quello, alcune scartoffie rovinate e uno
specchio.
Mentre
la ragazza si guardava intorno, aprendo lo sportello del mobile bar e
frugando tra le etichette ed una scatoletta per l'argenteria, il
ragazzo era rimasto completamente impietrito a fissare uno
specchietto posato sul tavolino. Sembrava che
non riuscisse più non solo a parlare ma, quasi, neppure a respirare.
non riuscisse più non solo a parlare ma, quasi, neppure a respirare.
Chiamò
la sua amica con un gesto delle mani, senza usare voce o parole,
quasi non potesse fare nessun altro gesto. O come se ogni altra
energia fosse stata risucchiata da quello che stava guardando.
Quando
lei arrivò e gli si mise a fianco, fu colmata dallo stesso stupore:
spalancò la bocca e trattenne il respiro, tenendo gli occhi fissi
sul vetro.
Lo
specchio, restituiva loro un'immagine. Anzi, una specie di film. Ma
era solo uno specchio: non c'era nessun collegamento elettrico,
nessun filo, e quello di certo non era un tablet o un computer con
una strana forma.
I
due fissavano quello che stava accadendo in quella specie di filmato
attraverso lo specchio.
Il
salone era stranamente familiare: una poltrona in pelle vicino al
camino, pulita e ben sistemata; un bel tappeto indiano a ricoprire e
decorare buona parte del pavimento; un altro tappeto d'un bel rosso
vivo appeso alla parete, come un arazzo.
In
mezzo alla sala, due signori ben vestiti, ma con abiti singolari. Uno
portava una camicia a sbuffo, e stivali colorati. L'altro, una lunga
giacca verde, e scarpette a punta, con un che di arabeggiante.
Parlavano,
pareva. Ma c'era qualcosa di stravagante e strabiliante in mezzo a
loro, una macchina di metallo, o meglio, un misterioso marchingegno
che i due ragazzi non seppero definire o distinguere. Sembrava un
enorme macchina da cucire, o forse solo un attrezzo a ruote, nel bel
mezzo del salotto. I due signori "oltre lo specchio"
parlavano e indicavano lo strumento, osservandolo ammirati.
I
due ragazzi avrebbero tanto voluto sentire cosa stavano dicendo, ed
avvicinarono di più il muso e gli occhi al vetro: ed ecco che, piano
piano, le voci incominciarono a farsi udire. Dapprima flebilissime,
poi via via più vicine, più udibili. Fino a quando non riuscirono a
sentire cosa dicevano.
L'uomo
con la camicia a sbuffo mostrava entusiasta quel marchingegno,
spiegandone l'origine. < Nel 1642 Pascal inventò la pascalina:
era una rudimentale calcolatrice, in grado di risolvere
meccanicamente somme con numeri fino a 12 cifre. La inventò per suo
padre, che era un contabile, sperando di poterlo avvantaggiare con il
lavoro. In fin dei conti, tutte le macchine migliori hanno questo
scopo: ridurre il lavoro e le fatiche dell'uomo, anche se... >
forse accorgendosi che si stava divagando, il signore con la giacca
verde lo interruppe con la mano e con la voce < Certamente, ma
restiamo al nostro. Come prosegue l'innovazione del marchingegno?>.
L'altro
signore tossì, si ricompose e dopo aver annuito riprese il racconto
< Trattasi di una serie di ruote da caricare che, con opportuni
denti e rondelle, liberano l'uomo dalla fatica del calcolo: una ruota
per le centinaia, una per le unità, e così via> e ancora l'altro
volle andare al sodo <Ma dicevate ci furono innovazioni
incredibili che utilizzarono l'arte combinatoria delle ruote non solo
per fare dei calcoli in serie, ma per rispondere ad ogni possibile
quesito>.
L'uomo
dalla camicia a sbuffo sorrise, ma questa volta fu lui a mostrare il
palmo della mano. <Ci arriviamo. Ci arriviamo. Nel 1666 Leibniz
modificò la pascalina per farne un calcolatore più efficiente,
introducendo nella macchina anche la possibilità di automatizzare
sottrazioni e divisioni> questa volta tossì per i fatti suoi,
come interrompendosi da solo, prima di proseguire: < Ma, come ha
prima riassunto, il vero intento di Leibniz non era di eseguire il
semplice calcolo matematico... Lui, seguendo una misteriosa ed
affascinante tradizione precedente, voleva riassumere l'intera
conoscenza in una semplice relazione simbolica>
<Ora
non vi seguo> replicò l'altro, che presto ebbe risposta <Da
Lullo a Bruno, passando per matematici cinesi e via dicendo, era una
antica speranza: che ogni conoscenza, nuova o vecchia che sia, ogni
invenzione, ogni risposta... per qualunque domanda, potesse trovarsi
attraverso una certa combinazione di simboli. Un'arte combinatoria>
vide l'altro ancora perplesso, per cui sintetizzò <In parole
povere, messere, quella che abbiamo qui davanti è il sogno
realizzato dei rinascimentali: questo marchingegno è costituito da
una serie di trenta ruote, e su ogni dente di ciascuna ruota, c'è un
simbolo che rappresenta una conoscenza. Ora, girando opportunamente
le ruote per formulare una domanda con il linguaggio simbolico della
macchina, e caricando la leva, la macchina fornisce una risposta,
quella assolutamente corretta>.
Lo
stupore era talmente vasto da uscire dal salone, per attraversare lo
specchio e colpire i due giovani spettatori al di fuori di esso.
Rimasero così incollati a quella scena, che proseguì.
<Quindi,
se ponessi ora una qualsivoglia domanda, sarebbe solo il caso di
tradurla nel linguaggio del marchingegno, usare le ruote simboliche
per comporre la domanda, e non dovrei fare altro che aspettare la
risposta? Sicuro che non sarete voi a rispondere per la macchina?>
l'altro sorrise, sicuro. <Fatemi una domanda la cui risposta non
posso conoscere>
L'altro
ci pensò un po' su, poi alzò le spalle <Cosa ho mangiato ieri
sera per cena?>. L'amico con la camicia a sbuffo si mise a
sistemare le ruote, dalla prima alla trentesima, in modo che ogni
simbolo, ossia ogni dente, fosse posizionato sul tassello chiave, di
modo da comporre la domanda in linguaggio simbolico. Questione di
cinque minuti. Caricò la leva a molla, e partì un piccolo sbuffo,
poi le ruote si misero in moto, combinandosi: guardando da un lato la
macchina, si poteva vedere che le ruote si erano mosse fino a
mostrare una certa combinazione di simboli.
In
pratica, i denti, e quindi i simboli della prima ruota erano tutti
nascosti, tranne uno. Stessa cosa per la seconda ruota, e così via,
fino alla trentesima. Guardando in prospettiva, si vedeva come una
ruota sola con 30 simboli complessivi, la ricombinazione totale
offerta dalla macchina come risposta alla domanda posta.
L'uomo
con la giacca verde la osservò perplesso, il suo compare gli si mise
a fianco, controllò e sorrise <Ha mangiato del pollo, un'insalata
con olive, ed un abbondante porzione di budino alla nocciola, bevendo
del porto>. L'altro deglutì, poi fece un passo indietro. <È
incredibile ma... ma... come... sta leggendo un linguaggio che io non
comprendo, non capisco quei simboli>. L'altro lo rassicurò <Posso
insegnarvi il linguaggio, è molto, molto più semplice di un
qualsivoglia linguaggio naturale, fa tutto la macchina>.
L'uomo
in giacca verde volle riprovare <Quando è nata mia figlia?> la
macchina, predisposta a dovere, rispose correttamente anche a questa
domanda. <Quanto ho pagato il mio ultimo abito da sera?> ancora
una risposta, ancora quella corretta, precisa al centesimo. A quel
punto il passo verso una curiosità più ampia fu breve: <Chi ha
ucciso il Re morto l'anno scorso?> e la macchina rispose. Ora,
quello era un caso irrisolto. Ma il marchingegno formulò senza
esitazioni un nome, un cognome ed un titolo, che i due non
conoscevano ma che reputarono verosimile. Anzi, ormai erano rapiti da
un entusiasmo tra l'eccitato e lo spaventato per quel marchingegno.
Fecero altre domande: quando impostavano interrogativi conosciuti o
verificabili, per esempio con una semplice consultazione nella
libreria del salone, il marchingegno dava sempre risposte corrette.
Quando chiedevano cose che non potevano sapere o scoprire, erano
ormai certi che rivelasse il vero. Sia sul passato, sia sul presente,
sia sul futuro.
Quel
marchingegno sembrava senza limiti. I due gentiluomini ciarlarono di
come il sogno dell'arte combinatoria fosse davanti a loro, del fatto
che non esiste nessuna invenzione completa, ma ogni innovazione è un
rimescolarsi di vecchie scoperte, di simboli. Al miscuglio giusto,
una nuova scoperta. E ovviamente parlarono a lungo di come sfruttare
quel marchingegno fenomenale, ma anche dei suoi rischi: poter
conoscere ogni cosa, avrebbe potuto risolvere ogni umano dubbio.
Avrebbe perfino, socialmente parlato, evitato all'uomo il peso del
dubbio e del pensiero. In fondo, come avevano detto: le macchine
dovrebbero evitare all'uomo la fatica ed il lavoro, e quale peso più
opprimente esiste, del pensiero, del dubbio, della conoscenza? Che
forse, con quello strumento affascinante, sarebbe bastato manipolare
le ruote per conoscere il proprio futuro, o per sapere come
comportarsi, o scoprire l’insondabile? Forse che perfino la fatica
della scienza e della religione avrebbero trovato risposo e
soluzione, ed ogni quesito potesse essere così risolto?
E
ancora: avrebbero dovuto rivelare ad altri di quella scoperta (o
forse ricombinazione) o tenere quell'immenso potere per loro?
Decisero
di chiederlo direttamente al macchinario, e la risposta li lasciò
basiti e sorpresi <Il segreto di cui erano in possesso, non era
già più solo loro: perché qualcun altro ne era a conoscenza. Due
ragazzini> che, appena sentirono enunciare la risposta dall'uomo
con la camicia a sbuffo, si allontanarono dallo specchio e,
inquietati, corsero fuori dalla stanza, per non tornarci mai più.
Nessun commento:
Posta un commento
Dimmi che ne pensi