Dalle radici coperte di foglie secche, i tronchi di due querce salgono verso il cielo sporco di nuvole e si scontrano a metà strada, come due ubriachi che si sorreggono. Mi chiedo quale cadrà per prima, ma tu diresti che deve essere un portale per i folletti; o forse, sono due angeli che si abbracciano in mezzo al bosco.
Sfrego la manica della giacca sugli occhi e mi fermo davanti a un cespuglio, grigio e malridotto come me. Piego la schiena e un'onda di bruciore mi attraversa le vertebre. Con la mano sposto un mucchio di foglie e recupero solo un paio di gallinacci ammuffiti. Sospiro e li butto nel cesto di vimini: la carne gialla dei gambi si spacca contro il reticolo di legno e rotola nel vuoto del paniere.
Mi appoggio al bastone e sfioro la E incisa sulla corteccia intagliata.
Il fiume oltre la valle taglia in due la conca in cui sprofonda il paesotto, incastonato tra due catene di picchi di cui non ricordo il nome. Le casette di pietra da qui sembrano una manciata di pezzi del presepe, sparsi sul muschio da un bimbo distratto. Per il fiume, il paese e le montagne tutto è sempre uguale, come non fosse successo niente. Ma nulla è rimasto come prima. Nulla lo sarà più.
Afferro il ramo pungente di un pino per raggiungere il sentiero.
Gli scarponi sporchi di fango scivolano sulle rocce. Oltre un capanno dei cacciatori diroccato spunta un albero ricurvo. Dicevi sempre che i porcini stanno all'ombra dei faggi e dei pini, vero?
Mi addentro tra gli alberi, e le suole affondano nel terreno molliccio: un rigagnolo d'acqua sporca lascia una puzza di stantio che aumenta a ogni passo.
Supero un cipresso e il prurito mi avvolge la faccia. «Dannazione!» Mi tolgo la ragnatela dalla guancia, con le nocche pulisco i baffi.
Sotto al faggio, un paio di lattine di Coca e una busta di carta giacciono sparse, formano un sorriso storto che emerge dal sottobosco. Quanto pesa il culo ai giovani d'oggi? Raccolgo tutto e butto nel cesto, insieme ai funghi rotti.
Col bastone smuovo le foglie presso il tronco, infilo la mano tra le radici. Tocco qualcosa di morbido, ma si sfalda tra le dita come muffa. Si sta facendo tardi e non sono riuscito a trovare niente. Maledetti funghi.
Al centro del ruscello una pallottola di schiuma bianchiccia si ferma sul bordo. La sfioro con il bastone: un passerotto morto galleggia sul pelo dell'acqua e lo stomaco mi si stringe. «Che schifo...»
Sono stufo: torno al sentiero e prendo a scendere. Dopo la prima curva, una sagoma spunta oltre un salice e il vento porta l'aroma dolciastro del tabacco.
Il Barba alza la mano nodosa verso di me. Lo zaino gli spunta dalla schiena, sopra la bandana rossa che gli avvolge quella coda grigia da finto ragazzino. Avrà cinque anni più di me, ma ne dimostra dieci di meno.
Si ferma a riaccendere la pipa e mi fa un cenno con il mento. «Carlo, hai intenzione di vincere la gara anche quest'anno?»
Sorrido e mostro il mio magro bottino. «Direi proprio che a questo giro non c'è rischio.»
Si gratta il collo, sopra la camicia di flanella e osserva perplesso il mio cestino. Il suo è pieno di porcini e ovuli rossi, così gonfi e lisci che sembrano già puliti.
«Ma l'anno scorso...»
Deve proprio insistere? «Non ero io quello bravo. Non lo sono mai stato.»
Annuisce deluso, neanche lo avessi offeso, ma prima che mi faccia altre domande lo anticipo.
Indico il suo cesto stracolmo. «Quelli dove li hai presi?»
Alza il bastone di betulla verso il sentiero alle mie spalle. «Là sopra, oltre il sasso a forma di piramide, magari qualcosa è rimasto.»
Certo, nella direzione opposta dalla quale è arrivato. Tutti uguali i fungiàt. «Posto segreto, eh?»
Un taglio di ceramica nella barba forma un sorriso sbilenco. Si sfiora la bandana. «Un pirata non rivela mai dove nasconde il tesoro.»
Già. «Be', io devo aver perso la mappa. Torno indietro.»
Mi saluta in uno sbuffo di fumo e prosegue sul sentiero. La sua bandana svanisce oltre un castagno.
Raggiungo il bordo del dirupo. Punto i piedi e guardo in basso: una spianata di rocce si apre oltre un tronco caduto. Il vento che filtra tra gli alberi mi carezza il mento e la vertigine mi alleggerisce la testa. Quel vuoto mi sembra d'improvviso desiderabile, ma la nausea mi fa indietreggiare. Non fare cazzate, Carlo.
Sistemo il paniere sulla spalla e scendo al paese. La brezza porta la musica degli alpini, ma mi arrivano solo note più tristi che stonate.
La fila presso l'alimentari di Ezio fluisce mentre mi avvicino. Al primo bidone dei rifiuti abbandono le lattine e supero la tenda di perline.
L'alimentari è un quadrato grande quanto una cucina. Le scatole di fagioli si arrampicano su ogni mensola ai lati e le bresaole penzolano sopra il piano dei formaggi.
Un tizio robusto con il basco in tweed davanti a me svuota il cesto di porcini sulla bilancia di Ezio: il suo tesoro non è grande quanto quello del Barba, ma poco ci manca.
Ezio stappa il pennarello e scrive 3, 9 kg sulla lavagna alle sue spalle, di fianco al nome di Alessandro: per ora è il terzo della classifica.
Il fungiàt guarda nel mio cestino, si copre la bocca ed esce di corsa. Cazzo ha da ridere?
Ezio si pulisce gli occhiali con il bordo della camicia. «Ciao Carlo. Consegni anche tu?»
«Sì, non è una gran giornata.»
Alza le sopracciglia e mi fissa dietro le lenti unte. «Sicuro? Guarda che hai ancora un paio d'ore.»
«Sicuro.»
Ezio butta i resti dei gallinacci rotti sulla bilancia: 127 grammi. Alza le spalle e non prende neanche il pennarello. «Carlo, l'anno scorso avevi vinto, non voglio segnarti oggi, non è il caso.»
Eh? Io è da stamattina che cerco, non è colpa mia se il bosco mi odia. «Segna comunque, ho partecipato. Ho... ho promesso che l'avrei fatto.»
«Ma avete sempre fatto una bella figura, ora davvero, lascia stare.» Prende i rimasugli del mio fungo con indice e pollice, neanche fossero infetti.
«Senti, segnami i miei 127 grammi. Che problema c'è?»
Abbassa lo sguardo. «Ti prenderebbero solo in giro, specie perché l'anno scorso...»
«L'anno scorso non ero solo, Ezio!»
Deglutisce e si sistema il colletto. «Lo so, ma...»
«Ascolta, era Elena quella brava. Lei parlava con i funghi, io... io parlavo solo con lei, e al massimo trovavo IL fungo.» Smuso verso la bilancia. «Segnamelo e basta..»
«Sotto il mezzo chilo non li segno, Carlo.»
Serro le palpebre a nascondere un formicolio agli occhi, sarà la cataratta. Riprendo il cesto con uno strattone: i resti dei gallinacci cadono a terra. «Per Elena era importante, io volevo solo...» Un magone mi sale alla gola e la mano mi trema.
«Carlo scusa, ma davvero, lo faccio per te...»
«Lascia stare. Ho capito. Non valgo abbastanza per voi.»
Fa per borbottare qualcosa, ma mi volto e calpesto i gallinacci in terra. Supero la tenda.
Vicino alla staccionata che delimita il pascolo dalla strada, un bimbo dalla zazzera rossa, seduto nel prato, smette di giocare con le biglie e mi fissa. I suoi occhi azzurri sono come il cielo terso di nuvole, ma tristi come chi non riesce più a vederlo. Faccio tanta pena?
«Fai anche tu la gara dei funghi?»
Scuoto la testa. «Sembra di no. Non ho trovato nulla di valore.»
«Ma c'hai ancora tempo, la conosci la ghiacciaia?»
«No, non sono di qui, anche se vengo tutti gli anni.»
Sorride e la tristezza nei suoi occhi scompare. In lui le emozioni corrono più veloci delle nuvole. Indica oltre la staccionata, verso il torrente. «Dopo il fiume, c'è un sassone bianco pieno di scritte, nella valle di sotto è pieno, davvero!»
Alzo le spalle. «Li avranno già presi, ormai.»
Il bimbo tira un pizzicotto alla pallina e la fa scorrere verso di me. «Non credo sai, i caccia funghi son tutti vecchi.»
Piego le ginocchia in uno scricchiolio e gli rilancio la biglia. «E quindi?»
La recupera e sorride. «I vecchi cercafunghi fanno sempre le stesse cose, e restano sempre al di qua del fiume. Dall'altra parte mica ci vanno.»
«Sono vecchio anche io,» sbuffo.
«Ma non sei un cerca funghi.»
Grazie per ricordarmelo. Carezzo la E sul mio bastone. «E come lo sai?»
Ride e indica il mio cestino vuoto. Pure lui deve prendermi in giro?
Afferro la staccionata. Oltre il fiume, gli alberi iniziano a tingersi di rosso. La giornata volge al termine; se solo la prossima avesse speranza di essere migliore, varrebbe la pena rallegrarsi.
«Ci metti poco, non ti preoccupare.» Raduna le biglie e le mette in un sacchetto di stoffa.
Mi alliscio i baffi. Sono sicuro di averlo già visto, ma non ricordo. «Come ti chiami?»
Fa un sorrisetto e mi guarda dritto in faccia, con la spavalderia dei pischelli. «Però se aspetti troppo diventa tardi. Ciaoo!» Scappa via verso il ristorante.
Che tipo.
E va bene, un ultimo sforzo. Sistemo il cestello sulla spalla e scendo verso il fiume.
Il torrente scorre sotto un ponte di legno e pietra. Il rumore dell'acqua sovrasta le poche voci dei turisti che scattano foto, e goccioline mi bagnano la faccia. Alcuni sassi emergono dalla schiuma bianca della corrente e brillano al sole ambrato del tramonto. Era questo il tuo posto preferito, vero? Sfioro il corrimano, appena oltre il ricordo delle tue dita.
Dopo il fiume, il sentiero entra nel bosco e riprende a salire, la parte facile è già finita.
La pietra bianca si erge sopra un gruppo di violette. Le scritte sulla roccia ci sono davvero... Spero ci siano anche i funghi.
Mi aggrappo a un bordo smussato della pietra. Oltre un declivio, si apre una vallata nel bel mezzo di un faggeto. Dubito che il Barba non abbia già fatto razzia, ma ormai ci sono.
Il sentiero è bello che finito, però, e la discesa è più ripida di quanto credessi.
Allora, peso a valle. Il bastone come punta, poso lo scarpone di lato e...
Il piede mi scivola e il ginocchio cede. «Cazzo.» Il sedere mi sbatte a terra, scivolo. Mi aggrappo a un ramo, ma anche quello si spezza e rotolo giù. «No!» Qualcosa mi colpisce alle costole e rantolo dal dolore. Rotolo e allungo una mano sull'erba, ma le dita scivolano nel terriccio. Non riesco a fermarmi!
Erbacce e rovi mi graffiano il viso e le fronde degli alberi si confondono. Un colpo alla nuca mi fa smettere di ruzzolare, la testa mi gira.
Sfioro il tronco di quercia che mi sostiene. Diavolo, sono in fondo alla vallata e ho uno scivolo di terra davanti a me.
Il pendio d'erba sporco di foglie mi vortica davanti agli occhi. Devo riposare un momento. Chiudo le palpebre e respiro piano. Il ronzio si affievolisce; poso i palmi a terra e mi lascio cullare dal buio e dal rumore del vento...
***
Un brivido mi accarezza la guancia: intorno a me è buio, ma un bagliore azzurro viene da poco lontano, oltre una coppia di faggi così vicini da sembrare un albero solo.
È sera, devo essermi addormentato. Pianto le mani a terra e mi rialzo. La schiena è ancora indolenzita, ma la nausea è passata. Il cielo è nuvoloso, da dove arriva quella luce?
Il dirupo sale verso il buio, non riesco a risalire di qui, devo trovare un'altra via. In pochi passi raggiungo la base della valle e mi muovo verso il bagliore. Scosto i rami pieni di foglie rosse e una luce violacea mi sorprende: viene da ogni punto della radura.
In un anello di prato e foglie cadute, presso i tronchi dei faggi e dei pini si ergono grossi funghi luminescenti. «Ma cosa diavolo...» Gallinacci azzurri, porcini dai riflessi blu e mazze di tamburo verdognole.
«Riesci a vedere ora? Riesci a vederli?»
Quella voce. Un formicolio mi serpeggia lungo la schiena, sale fino alle dita illuminate dell'azzurro di un porcino, presso un cespuglio di trifoglio.
«Hai perso il bastone. Lo sai che devi starci attento nel bosco: è la tua guida.» Un'ombra esile spunta oltre una betulla e scavalca un rigagnolo d'acqua chiara.
Non è possibile...
Indossa la lunga giacca di velluto verde che le ho regalato tanti anni fa, e il berretto che aveva quando l'ho conosciuta: dalle trame di lana viola escono capelli grigi e lisci. Sull'avambraccio ha il mio cestino e tra le dita il suo bastone.
Devo avere sul volto l'espressione più stupida del mondo. Perché mi riserva il sorriso che mi dedicava quando mi prendeva in giro: disegna due fossette ai lati della bocca sottile. Abbassa la testa e la frangetta irregolare le trema sulla fronte.
«Elena...»
Mi allunga il bastone e lo afferro. Faccio per sfiorarle la mano, ma lei si allontana. Inspiro e mi passo la manica sugli occhi, ma è ancora lì. Non ci sono dubbi, è Elena... ma una luce azzurrognola la circonda, e la sua pelle è più pallida di come la ricordassi.
«Non stare lì imbambolato, vieni.» Si avvicina a un castagno e si china sulle ginocchia. Dalla tasca della giacca recupera un coltellino. La lama dell'Opinel è fatta della stessa luce di quei funghi. Elena afferra il porcino e lo solleva con delicatezza, ruotandolo appena. Taglia il gambo presso il terreno. «Va tagliato alla base, per preservare il micelio.» Lascia scivolare il fungo nel cestino e si rialza. «Così hai buone speranze che rispunti nello stesso posto.» Mi fa l'occhiolino. Il viso le si illumina di quella felicità che la appagava sempre, quando trovava il primo tesoro della giornata. La stessa felicità per cui la seguivo.
Non riesco a muovermi, e il cuore mi rimbomba nel petto.
Elena mi chiama, cammina verso una roccia rossastra. Indica con il bastone un rigonfiamento tra le foglie. «Vedi qui, se uno non sta attento non ci fa caso.» Con il piede apre un varco nel fogliame e rivela una mazza di tamburo illuminata di verde. «È incredibile quello che ci lasciamo dietro per distrazione.» Toglie altre foglie e tre porcini gonfi escono dalle erbacce. «Mi dai una mano o resti lì a fissarmi?»
È proprio lei. La raggiungo e le prendo il cestino, per tenerglielo davanti agli occhi.
Il suo sguardo scivola nel mio ad assicurarmi che quello non sia un sogno, ma non riesco a crederci.
Accarezza il terreno con la lama e lascia cadere il fungo nel paniere.
«Elena, ma tu... tu sei...» Le lacrime mi scivolano sulle guance secche e la gola mi gratta.
Si slaccia il fazzoletto che porta alla manica e mi pulisce la faccia. «Lo so. Non fare lo stupido, Carlo.» La voce s'inasprisce di rimprovero, le labbra si aprono in una smorfia dolce e buffa: la sua. «Credi che basti questo a spezzare un legame, quando è vero? Che uno stupido infarto possa portarmi via?»
«Ma tu...» Le sfioro le dita, la luce della sua pelle scalda la mia. Lascio cadere il cestino e allargo le braccia.
Alza le sopracciglia e mi fissa, in attesa. «Se inizi a fare una cosa, poi devi farla sul serio.»
Sorrido e la abbraccio. La sua luce mi avvolge, sembra così fragile e leggera. Profuma di vaniglia e di bosco, come sempre.
Mi passa le mani sulla schiena e il dolore mi scivola via dalle ossa, strofina la guancia sulla mia e posa la bocca all'orecchio. «Sono come i funghi, Carlo. Mi troverai ovunque guarderai davvero.»
Sussulto e un formicolio mi scalda il petto. Una carezza leggera come la brezza mi sfiora la guancia. «Ma ora devi andare, hai ancora tanto da vedere.»
«No. Io non voglio andare.»
Ride, roca e forte, come faceva quando le raccontavo quelle barzellette che capiva solo lei. «Non fare il brontolone ora.» Si distanzia di un passo e fa scivolare la mano tra i miei capelli. L'altra indica la radura illuminata dai funghi. «Ora hai anche tu un posto segreto...» Con il bastone punta il cestino. «Coraggio, non hai mica finito.»
«Se inizi una cosa...»
«Esatto… Ma ricorda di farlo a modo tuo.» Sorride, e una piccola goccia di luce le scende dagli occhi.
Mi chino a prendere gli ultimi porcini e metterli nel paniere. «Questi sono davvero bellissimi, vero?»
Due fasci di luce colpiscono i tronchi e mi abbagliano. Mi copro il volto con la mano.
«Carlo, sei lì?!»
È il Barba. Mi volto, e un nodo mi si arrampica per la gola. Elena è sparita, e la luce dei funghi si è spenta. No!
Inspiro e mi passo la mano sul volto. Ti prego, ti prego… Riapro piano gli occhi.
Lei non c'è, ma il cesto di vimini è pieno di porcini e mazze di tamburo. Il suo fazzoletto è legato al manico.
Lo sfioro con il pollice. Non era un sogno, vero?
Un fruscio e dei passi si avvicendano poco più avanti, la luce di due torce torna a invadere la radura. Il Barba e il ragazzino dai capelli rossi scendono dalla collina. Là dietro deve riprendere il sentiero.
Mi sfioro la guancia senza ritrovare quel calore. E io che faccio ora?
La luce dei funghi si è dissolta, ma il cielo si è aperto e le stelle illuminano il bosco, assieme alle torce dei due.
«Carlo! Maledizione, ci hai fatto spaventare!»
Il ragazzino mi corre incontro. «Scusa, non pensavo ti perdessi!»
«Non mi sono perso... Anzi, credo di essermi trovato.»
«Oh!» Si ferma davanti al cestino. «Guarda quanti bei funghi!»
Il Barba lo raggiunge e gli spettina i capelli. Così vicini, si assomigliano un mucchio. Deve essere il nipote. «E questi dove li hai presi?»
Storco il labbro e alzo il bastone verso la collina dalla quale sono scesi. «Da quella parte, oltre la betulla piangente a forma di culla.»
Ridacchia nella barba e mi tira una pacca sulla spalla. «Stai imparando!» Mi osserva in una panoramica e annuisce. Recupera la pipa e se la accende. Deve essere il suo modo di verificare che stia bene. «Con il casino che è successo si sarà preoccupato anche Ezio.» Punta il beccuccio verso i porcini. «Se glieli porti credo te li segnerebbe, per la gara.»
Tiro su col naso e recupero il paniere. Voglio finire a modo mio. «No. Ma se volete, per ringraziarvi, posso prepararvi la cena: risotto ai porcini e mazze di tamburo fritte.»
«Sii!» Il ragazzino si alza e lascia cadere la pietra con cui si era messo a giocare.
«In marcia, allora.» Il Barba sbuffa un cerchio di fumo e si avvia per la collina. L'aroma dolciastro mi sfiora il naso e mi ricorda la vaniglia.
Lo seguo aiutandomi con il bastone e mi fermo in cima. Lascio che quei due si distanzino di qualche metro e mi volto a guardare un'ultima volta la radura: un ovale perfetto, tagliato da un piccolo ruscello e circondato da aceri, pini e castagni.
Funghi o non funghi, è davvero un posto bellissimo.