Il pomodoro e le palline
Mi guardo allo specchio: vedo un volto giovane, arrossato ed affilato, con qualche brufolo di troppo, le occhiaie da sonno e circondato da un cespuglio di folti capelli neri e ricci. Vedo un paio di grandi occhi nocciola. Forse delle nocciole acerbe, o con ancora la buccia, perché virano blandamente nel verde. Sotto un naso piccolo ma con una fastidiosa gobbetta il mio riflesso riporta delle labbra abbastanza carnose, ma sempre tese in una smorfia che non mi piace.
Oggi sono al quindicesimo giorno di scuola, e mi pare di essere al quindicesimo mese ininterrotto. Mi guardo allo specchio ma sto solo riflettendo sulla giornata che mi aspetta. Ci saranno due ore di Filosofia, dove non discuteremo, ma dovremo memorizzare uno schema che parla dei pensieri di Cartesio o chi per lui, seguiranno due ore di Italiano: amo leggere eppure le trovo di una noia mortale, sarà che in quell'ora non si legge, piuttosto si parla di epiteti epici e di nomenclatura grammaticale, o si fanno inutili esercizi. Poi un'ora di Matematica per finire in bellezza, dove calcoleremo equazioni esponenziali o logaritmi, utilissimi per fare la spesa o decidere se mettere o meno soldi in banca, suppongo. Chiudo gli occhi, smetto di vedermi ma non riesco a fermare i pensieri. Quando li riapro sono ancora lì. Sbuffo e mi gratto sotto al reggiseno, poi vado ad infilarmi una canottiera ed una felpa scura. Sto bene attenta che il cappuccio cali il più possibile sulla mia faccia, prima di uscire a prendere il bus.
Mi appendo alla barra di sostegno, che al solito non c'è posto per sedersi. Molti dei passeggeri sono mie compagne di scuola: perlopiù parlano di qualche ragazzo carino, qualcuno copia i compiti, altri non alzano lo sguardo dal telefono neanche per un secondo.
Una volta ho sentito un'intervista di un regista di cui non ricordo il nome: raccontava che a Tokio si divertiva a fissare i volti delle persone mentre erano intenti a fissare