sabato 26 dicembre 2020

Isole




C’è qualcosa di ambiguo e sottilmente indefinibile,

che scorre tra le onde del mare ed una risacca avida, seducente ma impetuosa,

che dimentica pietà e regala antiche speranze, perduti raccordi, e sempre sacri incontri.

Quando il nero sembra più azzurro del blu, allora vedi quanti colori può contenere un solo tono,

quante donne ve ne sono in una sola, e tra infinite sfumature è evidente che non vi siano razze, distinzioni,

ma solo diverse musicalità che, come i colori, sanno divenire perfettamente crioli.

Vi sono saluti che odorano di zolfo e di pesce, pollici alzati e pulmini stretti...

... imbarazzi linguistici, scambi difficili eppur divertenti, dove l’acqua calda scivola su circuiti elettronici, tastiere nuove e firme che non t’aspetti.

Ma ognuno è quel che è, e più ti stacchi più ti specchi, in controparti, sicure insicurezze… e singolari provvidenze.

Dove scorrono botti, tappi vigne metalli, ma non v’è vino; dove scendono villaggi, annegate in piscine e microfoni potenti, ospedali che fanno i brillanti, e ti ricordano l’Europa, quella vestita di bianco e di rosso, che di ermellini pianifica la sua mattanza.

Un colpo ancora, di acini e di faraoni, di schiavi e di nostalgie; che più vedi una cosa, più ti torna alla mente l’altra. 

Nel deserto un vulcano, nel vulcano una foresta, nell’attesa una voce bassa, e capelli che solo tu conosci, ma che non ti riconoscono.

E tra sentieri, polvere e nuvole, ti sperdi un poco; un poco ti ritrovi e, nell’irrequietudine che ti porti dentro, ma non sai seminare, ti chiedi se ancor ti serva quell’attaccapanni e quel cappello.

 Un seme che cresce, se si bagna bene, ma ha paura ad andarsene via da solo, senza foglie; ma nessuna foglia può seguirti, se ha paura di volare, di cambiare.

 Come assaggiar una minestra: ti pare troppo amara, troppo dolciastra, troppo vasta, ma ne stai già chiedendo dell’altra.

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