Lo specchietto frontale riflette una macchia oleosa sulla camicia di Jacopo: la gratta con l'unghia del pollice, senza successo.
Sul sedile di fianco il telefono si illumina; Jacopo lo blocca e lo infila nella tasca dei jeans.
Si pulisce gli occhiali con il fondo della camicia, apre la portiera della vecchia panda e passeggia lungo il vialetto di casa: vicino al vaso della salvia annegato dalle erbacce, qualche foglia si muove di scatto. Ci si avvicina, ma non c'è abbastanza luce e ha già perso la voglia di recuperare il telefono.
Raggiunge l'ingresso, cerca nella giacca le chiavi arruginite e con uno scatto nervoso apre la porta. Abbandona il cappellino e la giacca sul divano e si leva le scarpe antinfortunio con un sospiro.
Le buste, i piatti sporchi e le merendine sono sparse tra il divano e il tavolo della sala. La casa più del solito, è troppo grande e troppo vuota.
Apre la porta del bagno e si ferma davanti al lavabo: allo specchio un uomo dai capelli grigi, le spalle larghe, le occhiaie da stanchezza e la barba sfatta. Storce la bocca in un sorriso finto a sfiorarsi un canino ingiallito e un incisivo rotto. Fortunatamente non gli capita così spesso di mostrarlo.
In cucina, apre la porta del frigo e qualcosa cade a terra e rotola di sotto. O forse no. Nell'incertezza, si apre una lattina di birra. Fuori dalla finestra la pioggia bagna il giardino e la sua erba incolta. Stava già piovendo, prima?
Tra il frigor e il vecchio forno si alza un cattivo odore. Come di muffa, ma non ne è certo. Controlla tutto: forse è il prosciutto. Dovrebbe davvero smettere di aprire le bustine e non finirle. Dovrebbe davvero finire quello che inizia.
Butta via tutto, ma gli sembra che l'odoraccio sia rimasto.
Inspira e si limita a prendere le lasagne congelate, bucarne la superficie di plastica e infilarle nel microonde. Il piatto gira oltre il vetro del forno per qualche minuto: attende che sia pronto e si siede a mangiare e bere un'altra lattina.
La radio, da sopra le mensole dei piatti, parla del meteo e del calo della borsa. Jacopo alza lo sguardo verso la sedia vuota e borbotta tra i denti. «Borsa. Come se esistesse davvero. Esiste il lavoro. Io che sto in ditta e lo spazzino che...» Si ferma. «Ci manca solo che mi metto a parlare da solo.» Prende un altro boccone e un'altra sorsata, e butta il piatto nel lavandino.
«Del resto non mi hai mai ascoltato neanche quando c'eri...» Sembra dirlo all'aria. Si ferma un altro istante e si massaggia il collo: le posate sul lavello, la radio che blatera delle partite, la frutta vicino ai fornelli. Arriccia il naso e la getta nel secchio dell'umido.
Cammina fino alla sala per abbandonarsi sul divano e guardarsi per l'ennesima volta Rambo.
Finito il film, si sposta verso la camera, ma rallenta presso la porta chiusa a chiave. La fissa e sfrega i denti serrando la bocca. Tocca la superficie di legno con il palmo, ma scuote la testa e decide di finire questa giornata, chiudendo la porta della sua camera dietro di sé.
***
Il giorno dopo, Jacopo torna a casa qualche minuto prima del solito. Lo specchio riflette la stessa macchia sulla camicia. Si ripete che non importa e scende dalla panda. La luce esterna lampeggia per qualche istante, poi si spegne completamente: «Che cazzo».
Si aiuta con la torcia del cellulare per arrivare alla porta di ingresso, e trovare le chiavi finite in un buco nella tasca.
Entrato, l'aria si riempie di unana strana puzza: apre la finestra della sala e, dopo aver lanciato sul divano la giacca, controlla la cucina. Annusa due o tre volte la carne e l'insalata, butta via i pomodori. Controlla nel bagno. Per sicurezza pulisce la lettiera del gatto e gli cambia la sabbia. Una gatta completamente nera e con gli occhi bicolori lo guarda diffidente da sopra l'armadio delle scarpe. «Dovrei guardarti male io, che pulisco le tue schifezze. L'hai fatta in giro?».
Torna in cucina e smette di mangiare il suo panino dopo l'ennessima pubblicità in radio: alza il volume e si ferma sotto l'apparecchio: parlano degli accordi che il Regno Unito sta prendendo per uscire dall'Europa. Pare che servirà il passaporto nei prossimi anni per raggiungere il paese. Non ci è mai andato, anche quando non serviva, ma ora sarà più difficile. Tutto... tende a diventare più difficile.
Recupera un'altra birra e si sposta in sala per guardare qualcosa su Netflix: un poliziesco.
La serie non fa neanche in tempo a cominciare, sigla pretenziosa a parte, che Jacopo si irrigidisce: un grosso topo grigio lo guarda dall'ultimo gradino che porta in cantina. Deglutisce, e finge di guardare la prima scena della serie. Due poliziotti stanno interrogando una povera donna con troppa solerzia: sembrano corrotti.
Jacopo muove piano, pianissimo la mano destra. Stringe il primo oggetto disponibile: un impolverato dizionario di Inglese lasciato sul tavolino vicino al divano. Inspira, prende la mira, di colpo si alza e lancia con forza la voluminosa arma. Il topo fugge dalle scale lunghi secondi prima dell'arrivo del testo. «Bastardo».
Jacopo lascia che l'abuso di potere in TV continui e recupera il dizionario. Qualche pagina si è staccata. Lo apre per alcuni istanti, le dita tolgono uno strato di polvere scoprendo fitte note dalla grafia femminile. Strizza gli occhi e lo lancia sul tavolo, ma controlla che atterri dove deve.
Dalla TV arrivano rumori di inseguimento, prende la scopa e toglie il manico dalla spazzola. Fa girare il legno tra le dita e lo stringe al centro. «Ti conviene andartene e lasciarmi in pace, o scateno una guerra che nemmeno ti immagini.» Mormora piano, cadenzando ogni sillaba.
In cantina, si aiuta con il telefono per farsi luce: le lampadine sono quasi tutte rotte. Apre vari cassetti: piatti ormai antichi, libri di scuola ingialliti e qualche fumetto, ma nessuna traccia del topo. Solo quando si ferma un attimo a controllare il telefono, sente ancora quel rumore. Non è proprio un fruscio, è più forte. Come se mille zampette corressero sopra qualcosa di delicato. Un tonfo, qualcosa che cade. «Dove sei...» Jacopo lamenta, e riprende la ricerca. Ma niente.
Sorride e corre le scale a due due. Entra nella stranza e ignora i miagolii lamentosi di Sabba, la alza dal letto e la prende in braccio. «Non dovresti acchiapparli tu quei cosi?».
Chiude la porta per evitare che il bastardo possa accedervi e scende le scale. La gatta miagola di nuovo e muove le zampe per liberarsi. «Ora ti lascio... fai il tuo dovere.» Sussurra e allarga un sorriso sbilenco. «Trovalo, o io troverò te!» Libera la micia presso lo scaffale dove ha sentito l'ultimo rumore.
Non è un'impresa facile: la cantina è diventata, con il tempo, una sorta di deposito. Vecchi elettrodomestici, televisori e libri sparsi qua e là. Il divano è pieno di coperte, panni, qualche giocattolo e vestiti vecchi. La gatta si guarda intorno perplessa, si volta di scatto e scappa di sopra, più veloce del padrone che le urla dietro. «Dove vai Sabba! La fuga non esiste!». Scuote la testa e si rimette a cercare, ma dopo qualche ora rinuncia: meglio dormire. Domani il lavoro non sarà più leggero di oggi.
***
Il mattino dopo si sveglia mezz'ora prima, e dopo un infruttuoso giro di controllo in cantina cerca su Amazon.
Le trappole per topi sono tremendamente più numerose di quel che sospettava. Sembra che debba capire con chi abbia a che fare per eliminare il problema. Del resto, i film e i libri di guerra lo ripetono: «L'elemento chiave della guerra è conoscere il tuo nemico». Da un articolo promozionale scopre che ci sono trappole letali e non letali, e le dimensioni dipendono dal tipo di animale. «Devo anche chiedergli come si chiama?»
L'articolo spiega che il topo è genericamente più piccolo, ma si distingue in campagnolo, selvatico e... «Sì sì va bene, come cazzo lo prendo.»
I ratti (rattus rattus) «Come se chiamarmi Jacupus Jacupus servisse a qualcosa... Vogliono anche darsi un tono, questi topi.» Hanno il muso più arrotondato, sono di colore più scuro, sebbene l'elemento cromatico non sia fondamentale per la distinz... «Ma cos'è, un trattato di Statistica?»
Più avanti scopre che c'è almeno un terzo tipo di topo, quello di fogna (Rattus Norvegicus) «Ma non poteva starsene tra i vichinghi?» Scuote la testa, scrolla oltre e alla fine decide. Sicuro non era così grosso, gli sembrava scuro e... «Bah, era un ratto, dai.»
Scorrendo un altro articolo scopre che gli escrementi di topo sono più appuntiti, e quelli di ratto più a banana. «Ci manca solo un'esame prostatico...»
Inoltre, i topi sembrano preferire i cereali e i ratti la frutta. I primi sono più abitudinari e cercano il cibo negli stessi posti, gli altri sono più esploratori, e cambiando luogo sono più difficili da prendersi. «Figurarsi». Jacopo torna su Amazon, e medita parecchio in bilico tra una trappola letale a morso ed una "gentile" che si limita a catturare il topo, o il ratto, attirandolo in una gabbietta. Alla fine decide per quest'ultima, ne prende due e belle grandi «Mi interessa vincere, non uccidere.» Concluso l'ordine, si infila la giacca e corre al lavoro.
***
La sera seguente, la caccia al "bastardo" è limitata: controlla la cucina e scopre, con stupore e ribrezzo, da dove arrivava la puzza. Sotto al lavandino, dove tiene i prodotti per la pulizia, ma anche le patate, le cipolle e i croccantini del gatto, scopre che alcuni tuberi sembrano come tagliati da piccolissimi coltelli in svariati punti ed è pieno di piccoli escrementi. Ma davvero non saprebbe dire se siano a punta o a banana. Trattiene un conato di vomito e chiude lo sportello. «Ma da quanto cazzo è qui dentro? Prima lo prendo, poi pulisco.»
Con un'altra lattina si mette di nuovo al computer. Sabba miagola, e questa volta è lui a guardare male il felino: il volto gli si sporca di delusione.
«Possibile che debba fare tutto io in questa vita? Mi lasciate sempre...» Si passa una mano sul volto e impreca. Cerca ancora qualcosa in rete, e scopre che a seconda della specie quei bastardi fanno dai 5 ai 15 cuccioli a parto, e partoriscono dalle 3 alle 8 volte all'anno.
«Spero che lo stronzo non abbia compagnia.» Non bastasse, le creaturine cagano dalle 40 alle 80 volte al giorno e possono trasferire malattie in gran numero: dalla Leptospirosi alla Peste passando dalla Salmonellosi.
«Cioè questo non solo mi invade casa e ruba il cibo, ma caga su qualsiasi cosa trovi e cerca di avvelenarmi!» Torna su Amazon e ordina anche un paio di trappole mortali. Quelli con la colla topicida. In sostanza si piazza un'esca al centro di una tavoletta ricoperta di colla molto potente: il "povero" topo dovrebbe andarci in mezzo, e rimanere incastrato. Tra i commenti del prodotto legge che funziona, ma d'altra parte è una cosa crudele. C'è perfino il link a un breve video dove un ragazzo dapprima cattura un topino a quel modo, poi, vedendolo soffrire su quell'affare, lo libera con acqua e sapone.
«Ma vaffanculo, questo vuole trasmettermi malattie cagando in casa mia, è una dichiarazione di guerra: o io, o lui». Chiude il computer, e proprio in quel momento un veloce fruscio, che ora chiama "zampettio" sembra provenire da dentro la parete alla sua sinistra.
«Non dirmi che...» Si avvicina e posa l'orecchio al muro, ma non sente più niente. Forse se l'è immaginato.
Decide di farsi una doccia, ma prima controlla ogni angolo del bagno e della camera, e chiude per bene tutte le porte. Infine, pur sapendo che non servirà, chiude Sabba in cucina, con la vaga speranza che possa catturare il maledetto scroccone.
Entra nel bagno, si toglie i vestiti e, proprio quando i boxer finiscono a terra, scorge un veloce movimento presso il bidet. Gli scappa un grido poco virile e inciampa sulle proprie mutande.
Recupera la scopa lasciata vicino all'entrata, e si avvicina con estrema lentezza. Un passo di troppo, e il ratto (o forse è un topo?) scappa come una velocissima scia nera, ma trova la porta chiusa. «Fottuto...» Jacopo si gira e molla una randellata verso la porta, ma manca il bersaglio. «Colpisci per primo, nessuna pietà!»
Il ratto prova a rifugiarsi sotto al lavandino ma un altro colpo lo stordisce. L'uomo viene preso da una furia topicida e molla non uno, non due, non tre, ma forse cinque colpi alla creatura, uccidendola.
Prende fiato e si sciacqua il volto. Con un pezzo di carta igieniica alza la creatura dalla coda, a studiarla meglio: proprio una schifosa bestiaccia. Solo ora nota anche i vari escrementi dietro al bidet. Meno che in cucina, comunque.
«Come cavolo ci sei arrivato qui?»
Jacopo indossa l'accappatoio e butta via il cadavere. Torna nella vasca da bagno, ristorato dall'acqua calda e da una piacevole sensazione di vittoria che gli rilassa i muscoli.
***
Accende la torcia del telefono e sale i gradini del guardino. Impreca contro il lampione e trova presso la porta di ingresso vari scatoloni. Li apre e, senza gran sorpresa, trova una gran quantità di trappole per topi. «Diamine, potevo aspettare un po', mi sono sottovalutato.» Porta comunque tutto dentro e si prepara la cena ascoltando un vecchio Jazz alla radio.
Si versa un goccio di whiskey e pulisce gli occhiali con movimenti circolari: gli sembra già da qualche mese di vedere meno bene, ma ha rimandato la visita dell'oculista. C'è sempre così tanto da fare e così poco tempo per farlo. E ora ha solo bisogno di riposare.
Prende una lattina di birra e in ciabatte si sposta sul divano. Un forte fruscio da sotto il lavandino lo fa sobbalzare. Apre l'armadietto di scatto e un grosso esemplare di topo scuro gli passa da sotto le gambe: Jacopo grida e inciampa per terra, il bastardo corre come un treno e si infila in un armadietto della sala.
Lo insegue e chiude la porticina del mobile con una spinta, salvo accorgersi che è traballante. «Col cazzo che scappi!» Si allunga per prendere una sedia per bloccargli l'uscita, tenendo una mano sull'accesso. Non contento, sposta di peso la poltrona per chiudere ogni via di fuga: «Preso!»
Il pensiero che non possa tenerlo chiuso lì in eterno gli passa dalla testa ma, del resto, se aprisse, veloce com'è il bastardo, rischierebbe di perderselo per strada.
Come è solito fare quando è in difficoltà, cerca informazioni online dal telefono, e tra Wikipedia, un sito sulla disinfestazione, e la pagina "Attenti ai ratti!" scopre che i topi hanno una resistenza terrificante: possono stare senza cibo per settimane e trattengono l'acqua (che recuperano perfino da un frutto fresco) peggio di un cammello. Anche se forse non gli serve saperlo, Jacopo legge anche che possono nuotare per parecchie decine di metri e i loro denti possono rosicchiare il legno e forse perfino il ferro, secondo alcuni.
«Cosa cazzo sono, dei terminator? Dei Bear Grylls incrociati con predator? E quanti cazzo sono, allora?»
Non fa in tempo a domandarselo una seconda volta, che i fruscii che ora sente sono almeno due: uno proviene sicuramente da quell'armadietto, l'altro gli sembra provenga dalla cantina. «Merda, ma io che ho fatto di male?»
Non si perde d'animo però, tutto sommato ormai è più che provvisto di armi: apre con furia gli scatoloni e si organizza. Con attenzione sistema dapprima le trappole collose. Non avendo ancora capito se siano topi o ratti, decide di abbondare: al centro della tavoletta deposita un pezzo di mela e, sopra quella, un pezzo di cioccolato; quasi fosse una tartina.
Nell'altra, lascia cadere un paio di cucchiaini di burro di noccioline. Ha letto che ne sono ghiotti, quei fetenti. In compenso, a dispetto di Tom e Jerry e compagnia, ha scoperto che quei roditori di merda non mangiano il formaggio, ma vanno pazzi per il cioccolato, infatti torna a usarlo come esche per le due trappole più "gentili".
In quelle il topo dovrebbe semplicemente rimanere chiuso dentro la scatola: un pezzo di dolce a volte può costare caro. Erano le trappole consigliate da chi sostiene che in fondo anche i topi hanno il diritto di vivere.
Ma ormai per Jacopo è guerra aperta. L'odio è montato come erutta un vulcano, in questi giorni. «Che poi, anche entrasse nella gabbia, che dovrei fare, portarmelo a spasso per chissà dove e lasciarlo nel bosco? E se oltre a essere dei cammelli hanno anche un senso dell'orientamento alla torna a casa Lassie?»
Cerca il muso scuro di Sabba, ma quella lo guarda e tace, non regalandogli neppure un miagolio. «Bah, se li prendo li affogo o li brucio o te li do per cena, ma cominciamo a prenderli».
Lascia quindi una trappola in cucina, un paio in cantina e una appena fuori dalla porticina dell'armadio della sala, lasciata appena aperta per farlo uscire con qualche difficoltà.
Ormai sta diventando un esperto di topi, e sa quanto è essenziale sfruttare l'ambiente per vincere una guerra: sa che sono animali notturni e sono furbi. Finché sta a guardare quello non esce dalla sua tana. Del resto, deve essere lo stesso meccanismo dell'acqua che non bolle mai se resti a osservare.
Con qualche difficoltà si mette a dormire, anche se durante la notte gli arrivano squittii e qualche inquietante fruscio fra le pareti. Quando riesce a prender sonno, purtroppo i sogni non lasciano scampo: forse stimolato da una risposta ironica di qualche forum, sogna di un topo che si intrufola nel suo letto, per divorargli gli occhi mentre dorme.
Si sveglia di colpo, con ancora entrambi i bulbi oculari a posto. Si toglie il sudore dalla fronte e si ferma per una decina di minuti in bagno. Corre a controllare le trappole: niente. Tutte vuote. Un'occhiata veloce all'armadietto, forse dovrebbe ricorrere alla fedele scopa, ma per ora lascia perdere. Prova a dormire almeno un paio d'ore, prima di andare al lavoro.
***
Gli ultimi minuti in cui monta le rocche di tessuto da infilare nell'autoclave sono i più lunghi. Da una parte la monotonia e la stanchezza dal poco riposo, dall'altra, l'ansia di sistemare quella sporca questione.
Appena apre la porta di ingresso non sa bene se gridare di schifo o di esultazione: un grosso sorcio è rimasto incollato alla tavoletta. Ancora si muove e si contorce, squittisce sofferente. Per un attimo gli viene in mente quel video del ragazzo animalista. Ma presto fa sparire quella pietà dalla testa, e ritorna alla sua guerra. Recupera la sua fedele scopa e la alza sopra la testa.
«Ricorda che l'hai voluto tu!» E giù botte. Due a due finché, quasi, non diventano dispari, e quella creaturina smette di sussultare. Jacopo recupera fiato e forze, butta via la seconda vittima. La soddisfazione è grande, ma la consolazione minore: sa che la battaglia è vinta, ma la guerra è ancora aperta.
Controlla le altre trappole, ma per ora niente. Sabba invece dorme tranquilla sulla poltrona: un alleato decisamente inutile. Peggio della Svizzera.
Entra in cucina per prepararsi la cena ma deve portarsi una mano al naso: l'odore è insopportabile. «Ma che...» Gli basta una rapida panoramica, per accorgersi che, oltre agli escrementi sotto al lavandino, sembrano esserci delle tracce anche sui fornelletti delle cucine e persino sul tavolo. «Deve esserci un bastardo che quando lavoro se ne esce tranquillo a cercare cibo.» E le trappole le ha bellamente ignorate.
Ma non può essere solo quello... e infatti, quando apre il cassetto delle posate, trova un topolino già morto, con la pancia tagliata. Chissà se Sabba l'ha ferito o è stato così idiota da uccidersi da solo, fatto sta che chissà come è entrato lì e ci è morto.
Non è ancora del tutto decomposto, ma per fare schifo fa schifo eccome. Jacopo trattiene il vomito «Ma come cazzo sei...» Passa a buttare tutte le posate nel lavandino, dopo essersi sbarazzato del cadavere con guanti e fazzoletti. «Ci mancavano i topi kamikaze».
Passa la sera a disinfettare le posate e il cassetto, e quasi si dimentica di cenare.
Va a dormire, ma prima decide di farsi un goccetto. Apre il cassetto degli alcolici e salta indietro: un fruscio rapido e sinistro da sotto il lavandino. Un grosso topo grigio si arrampica sulle tubature e si nasconde in qualche interstizio.
«Non è possibile!» Si passa la mano sul volto, esce sul portico esterno, e qualcosa si muove tra i cespugli. Non è sicuro, ma l'istinto ha la meglio sul calcolo: afferra una bottiglia vuota da fuori e la scaraventa con tutta la forza verso le piante. «Bastardi, ma che cazzo volete, che cazzo!» per qualche attimo si si lascia cadere in ginocchio.
Tutti i problemi ignorati si stanno accumulando per fargli visita. Quei topi sono i suoi demoni? È per quello che ha fatto? È per quello che non ha fatto?
Si tira una sberla e rientra in cucina. Piazza un'altra trappola sotto il lavandino, ma ci ripensa. La sposta e decide che deve togliere altre occasioni di nutrirsi a quei maledetti. «Devo impedirgli di fare rifornimento sul mio terreno difensivo». Oltre quello, è arrivato il momento di pulire tutto, anche se non li ha presi tutti. Fa troppo schifo, troppo.
Passa praticamente tutta la notte, guanti di plastica sulle mani e bandana in testa, musica metal nelle orecchie, a pulire e disinfettare a fondo sotto al lavandino, i fornelletti, dietro al frigo e sotto i mobili. Fa lo stesso per il bagno, la sala, e la camera. Non soddisfatto, sparge in tutte le stanze un repellente per topi alla menta. Non ha questo gran profumo, ma ha letto da qualche parte che i sorci lo odiano. Rimane chiusa e non controllata solo una stanza, ma sa che quella è rimasta sempre sigillata. Per qualche minuto ci si ferma davanti, indeciso, ma poi desiste.
Esausto, si fa una doccia veloce e, finalmente, si butta nel letto a dormire.
Sogna di essere disteso sulla spiaggia, in costume, più magro di quanto attualmente non sia. Forse ai tempi aveva ancora i capelli castani e i denti a posto. I piedi vengono bagnati dalle onde del mare. Sua figlia più grande ha circa nove anni, si diverte ancora a giocare con lui, che la prende in braccio per strofinarle i capelli e farle il solletico; la lascia scappare via ridendo, e con lo sguardo cerca il fratellino sulla spiaggia.
Si alza, e grida a Sofia di curare il bambino. Starci attenta.
I tempi si mescolano, e si ritrova a piangere. Li chiama a sé, ma quando le lacrime gli impediscono di vedere si ritrova nel suo letto.
Si morde il labbro e cerca di trovare un po' di respiro dal dolore al petto ma, con orrore, sposta i piedi di scatto quando sente qualcosa sfregare sulla sua pelle. Lancia via le coperte e vede una dozzina di topi enormi e neri accumulati sotto le coperte: parte dei piedi sono stati divorati da quegli esseri immondi. Ossa e tessuti nervosi sono scoperti. Gli lancia contro il cuscino e questi gli si scagliano contro: ha la sensazione di essere coperto da quelle creature. Sente la pelle strapparsi e venir tagliata da quei dentini schifosi e infetti, e urla, urla talmente forte che si sveglia, sudato e spaventato.
Si alza sul letto e respira piano, cercando di controllarsi. Segue un quadrato mentale: inspira. Trattieni. Espira. Inspira. Lo fa per una decina di volte, come gli hanno pazientemente insegnato negli ultimi anni, si sdraia a fissare il soffitto, ma di dormire non ne ha proprio idea. Si limita a stare immobile. Come lo è stato per tutta la vita, gli verrebbe da dire.
«Ah, fanculo.» Si alza per andare a pisciare e farsi un caffè, accende la TV.. Per fortuna oggi non è di turno in ditta, ma i pensieri continuano a tornare a quei maledetti. Controlla le trappole in cucina e in bagno: niente. Sono furbi, quegli stronzi.
Scende a controllare di sotto, e trova una gabbietta occupata. Jacopo fa per sorridere, ma la soddisfazione dura poco: quando si avvicina per controllare, altri rumori lo accerchiano. Alcuni provengono dai mobiletti sulla sinistra, alcuni da un armadio sulla destra.
Controlla ovunque, scopa e repellente in mano, ma senza successo. «Basta, cazzo, non ce la faccio più!» Si mette a sedere vicino a un sacco riempito di cose da buttare, ma ancora lì da chissà quanto, e proprio davanti alla gabbietta del topo, che graffia inutilmente per cercare di uscire.
Jacopo allunga un dito a sfiorare le sbarre, e si ritrova con gli occhi umidi a fissarlo. «Che cosa volete da me, mh? Perché non ve ne andate? Non avete un po' di pietà, almeno voi?».
Il topo sembra tranquillizzarsi a quella voce triste. Si avvicina alle sbarre e annusa. Quasi come un criceto domestico. Jacopo si alza, e prende la gabbietta dal gancio superiore. La solleva e sale le scale. Esce in giardino e si guarda attorno; posa la gabbietta per terra. Prende un secchio da lavoro dal disordine sulla sinistra, e lo riempie d'acqua. Si sposta a recuperare la trappola con dentro il topo, e la butta dentro per intero. Si ferma a sentire gli squittii e i movimenti nervosi del topo che si contorce, fino a che tutto si placa. «Voi non avete pietà, non posso averne io.»
Libera il cadavere gettandolo con gli altri, pulisce la gabbietta e la prepara.
Ma ormai le sue armi non bastano. «Quando le forze sono troppo numerose, devi avere il coraggio di arrenderti.»
Si rassegna e chiama l'impresa di disinfestazione "Stricto gladio". Anche a loro deve piacere Rambo.
Fortunatamente quella si libera nel pomeriggio. Jacopo guarda il tutto da lontano, seguendo gli esperti: l'utilizzo del veleno, l'installazione di altre trappole, lo spray velenoso per gli angoli del caso e la pulizia completa. Tranne che per quella stanza.
Due giorni dopo, gli uomini vengono per un controllo e un richiamo del repellente. In totale trovano altri sette intrusi: quattro ratti e tre topi domestici. I disinfestatori consigliano a Jacopo di far sparire cibo e spazzatura da fuori casa, e tenere il cibo in cucina dentro cassetti di plastica, prima di ricevere il pagamento.
Jacopo controlla tutta la casa da solo, sia tra i cassetti della cucina sia tra i mobili vecchi in cantina. Si assicura di pulire e sistemare anche la camera e il bagno. Anche quando prepara la cena sta con le orecchie pronte, come in attesa. Ma, fortunatamente, non sente più nulla.
Però, un cattivo odorecontinua a infastidirlo: forse è quel repellente. Decide di ripulire la cucina e spargere per tutta la casa un deodorante migliore, casalingo, che dovrebbe sapere di mare, qualunque cosa voglia dire. Ma è come se quell'odore continuasse ad aleggiare per la casa. Allora si butta nella doccia e lava con estrema accuratezza ogni parte del suo corpo, colto dal sinistro pensiero che quella puzza l'abbia indosso lui. Che sia sua la colpa.
Alla fine si mette a dormire, stanco dalla testa al cuore.
Passa la giornata di lavoro quasi come un sonnambulo: sono ore che scivolano via senza rimedio e senza vera attenzione.
Cerca riposo in una birra veloce al bar. Torna a casa per farsi una pizza surgelata, e un'altra birra mentre ascolta i notiziari alla radio.
Si siede sul divano, studia le macchie sulla parete davanti a sé per lunghissimi minuti.
Inspira pesantemente, si alza e arriva all'unica stanza che non ha mai controllato, e nella quale non ha fatto entrare neppure i disinfestatori. Nella mano sinistra ha il suo fedele manico di scopa. Apre piano la porta, accende la luce e ci scivola dentro.
La cameretta è impolverata, ma pulita. Ci sono due letti l'uno accanto all'altro, qualche poster di film e di cantanti alle pareti. Su una scrivania un paio di quaderni e un vecchio computer; sul letto più piccolo un paio di macchinine. In fondo, una libreria, tutto come sempre: si avvicina e la guarda per bene.
Assottiglia gli occhi: tra le coste dei volumi colorati, scorge qualcosa di scuro. Trattiene il respiro e fa un altro passo, e la sente: una specie di musica fatta solo di fruscii sinistri e rumori inquietanti, come se milioni di zampette veloci si muovessero ovunque, senza tregua. Dalla libreria alla porta dietro di lui. Da dentro alle pareti a sotto il pavimento. Dal sottotetto all'interno dello schermo del PC.
Si lascia cadere a terra, ginocchia sul tappeto, bastone per terra, mentre intere orde di topi escono da ogni angolo: in breve, corrono e coprono ogni metro della cameretta, circondandolo. Jacopo prende il telefono e manda un messaggio vocale. Per quello non ci vuole il passaporto. «Non è colpa tua, piccola. Dovevo guardarlo io. Dovevo dirtelo. Dovevo...» Lascia cadere lo smartphone. Si limita ad allargare le braccia, e chiude gli occhi.
«Facciamola finita.» E quei maledetti topi sembrano ascoltare e capire: si fiondano su di lui in mucchio, buttandolo a terra e ricoprendolo, riunendosi così vicini da far sparire ogni cosa. Così pressati da non lasciare spazio alla luce.
Così che tutto sia buio.