venerdì 23 aprile 2021

I pensieri di Spina: cose senza nome

 



"E come la descrivi una cosa così?

Qualcuno lo chiama letto di tenebre, qualcuno parla del fuoco: quando si accende intorno e il fumo ti entra nei polmoni la finestra al quinto piano ti sembra così vicina ed attraente, e mai abbastanza alta.


Ma l'acqua è meglio. Affogare. Sprofondare, scendere nel buio delle tenebre, domandarsi da dove arrivano e risponderti: da me. Sempre da me. 


Affoghi perché l'aria che respirano tutti ti sembra qualcosa di speciale, qualcosa che non va davvero bene nei tuoi polmoni, che quando ti entra in bocca ti secca la lingua e te la fa incollare al palato. 

Non è cosa per te. 


Sprofondi perché non trovi connessione con quello che fanno tutti. Giocano in modo diverso, seguono inconsciamente delle regole che tu non solo non comprendi, ma fatichi perfino a trovare, ed anche a beccarle, da qualche parte: sono in una lingua che non ti appartiene. 


Scivoli ancora più in basso perché poi arrivano i sensi di colpa, e colpiscono così forte che neanche un pugno di Tyson o un triangolo di Khabib. Sì, perché tu lo sai che stai affondando per colpa tua, ma non vuoi che altri in qualche modo ti seguano, o che siano in colpa perché non possono aiutarti. 


Affoghi e la verità è che non sai perché. O meglio, qualcosa lo intravedi: nelle acque più profonde tutto diviene meno speciale, meno particolare, meno pregno di significato. 

Eppure era lì che trovavi ogni dannato colore. Era lì che trovavi ogni senso, oltre la superficie che tutti si ostinano a navigare. Bisogna scendere ancora più a fondo, allora?

Perfino i pesci abissali sembrano così indifferenti. Li guardi e non sai cosa dire, anche quando ti sfiorano delicatamente il volto e sembrano sorriderti: vorresti ringraziarli e sentirli davvero, ma quando affoghi qualcosa ti impedisce di farlo davvero. Senti semplicemente che stai scendendo.

Che stai sprofondando. E apri la bocca, le rarissime volte che vuoi dirlo, ma da lì escono solo bolle. E le bolle non interessano a nessuno. Non queste qui.  


Ed è così strano: a volte tutto è indistinto, noioso, indifferente, a volte tutto è così tetro e terrificante da sentire così tanta tristezza da chiederti come fai a sopravvivere: quella è l'acqua che ti entra nei polmoni e ti ammazza dall'interno. 

A volte, quando tutto non è così terribilmente triste o così incredibilmente insignificante ci provi a sputare fuori tutta quella merda, ci provi davvero.

Ma a volte hai troppa acqua in bocca, e troppo poca aria nei polmoni.

A volte provi perfino a sfiorare i colori di un pesce o azzardare un timido sguardo verso la superficie. Solo che ti sembra sempre di esserteli inventati quei colori, quella via di fuga. E allora pensi perfino che non te la meriti, quella via di fuga. Quella luce, quei colori. 

Ti guardi dietro e vedi che hai attaccata al culo una lunghissima coda di sporcizie, lattine vuote, sacchetti di plastica gettati, polvere mescolata al sangue e all'inchiostro. Non sai quanto sia lunga quella coda, ma si attorciglia ovunque, e forse è incastrata nel fondo degli abissi: ti ancora là. E tu la guardi, quella coda, ed ogni occhio la vede diversamente.

Da una parte non c'è cosa che tu possa odiare di più, non c'è cosa che possa farti più schifo. Dall'altra però, la guardi con un certo affetto, con una qualche misura di tenerezza: in fondo è il tuo percorso, per quanto attorcigliato e complesso, per quanto sporco e merdoso. 

Non lo sai se prima o poi lo toccherai il fondo, non lo sai se quella fottuta coda prima o poi si spezzerà, non lo sai se tutta quella dannata sporcizia prima o poi ti servirà a qualcosa, o forse sarà proprio quella a farti tornare a galla. 

Non lo sai."

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