La pozzanghera
Era appena finito il temporale, quando
l'arcobaleno comparse nel cielo di quella grigia cittadina. Era
ancora presto, ed il primo ad accorgersi della pozzanghera vicino al
condominio fu il gatto-unicorno. Non era davvero un gatto-unicorno,
ma sembrava: era completamente bianco, ma aveva un cornino nero sulla
fronte, proprio in corrispondenza di un ciuffetto folto di pelo, come
un corno scuro su un foglio bianco.
Il gatto-unicorno guardò dentro la
pozzanghera, ma non vedeva né il suo riflesso, né quello
dell'arcobaleno: l'acqua era troppo grigia, troppo scura, per
riflettere il mondo: tratteneva troppo sporcizia. Non la si poteva
neanche bere: si rischiava di venire contagiati da qualche malattia.
Così, il gatto-unicorno pianse. Non si limitò a miagolare più
forte e più acuto, come fanno i gatti normali che piangono. Ok, non
era davvero un gatto-unicorno, ma qualcosa di singolare e speciale lo
aveva davvero: piangeva proprio con lacrime umide e salate, come
potrebbe piangere un bambino.
Così si allontanò, non di molto in
verità: si nascose in un cespuglio vicino, e fisso là pozzanghera,
per vedere cosa sarebbe successo, perché succede sempre qualcosa.
Infatti, il gatto-unicorno si accorse
proprio di una piccola processione raggiungere la pozzanghera.
Il primo ad arrivare fu un uomo
d'affari, appena uscito dal condominio. Lo si riconosceva subito:
aveva un giacchettino a maniche lunghe, nonostante fosse estate e,
dopo il temporale, non facesse freddo. Nella destra portava una
valigetta scura, di pelle, di quelle che certi adulti chiamano
“ventiquattrore” : perché ci mettono dentro quello che proprio
non riescono a lasciare a casa, anche se stanno via molto meno di
ventiquattro ore, che poi è un giorno intero. Peraltro, dimenticano
sempre qualcosa, forse perché di quel qualcosa non si sono ancora
liberati. Per quello se ne dimenticano.
Ad ogni modo, l'uomo d'affari camminò
vispo, rapido, con tanta fretta di arrivare al lavoro: uno di quei
lavori che tutto sommato non si sanno mai ben definire, ma dove –
certamente – il tempo è denaro.
Si fermò alla pozzanghera, e rischiò
quasi di finirci dentro con i suoi bei mocassini di pelle nera. Fissò
l'acqua sporca, e cominciò ad agitare la ventiquattrore con dentro
le sue belle cose. Era arrabbiato, furente, urlò qualcosa del genere
(ma dovreste chiedere al gatto-unicorno per i dettagli) «Non si può
davvero andare avanti così! Ma che razza di mondo è mai diventato
questo! Qualcuno dovrebbe intervenire! Il sindaco, gli spazzini,
possibile che vada tutto in malora? Non c'è più rispetto!» e cose
di questo genere. Sbraitò per parecchi minuti, sventolando la sua
preziosa ventiquattrore, poi se ne andò. Forse al lavoro, che il
tempo è denaro.
La seconda ad accorgersi della
pozzanghera, fu una donna dai capelli rossi rossi rossi e ricci ricci
ricci: indossava un gonnone di quelli lunghi e colorati (che il
gatto-unicorno definirebbe Hippie, ma chiedete a lui o a un altro
adulto cosa intenda, io non saprei). Non era una donna giovane, ma
era bella: anche perché aveva un bambino piccolo piccolo piccolo in
braccio, che dormiva e sorrideva. Ora immagino che avrete le vostre
contestazioni da fare: ma allora anche lui si accorse della
pozzanghera? No, lui dormiva, quindi non la vide. Al massimo, la
sognò. Ma c'è di meglio che sognare di una pozzanghera. E come
faceva il bambino a sorridere e dormire insieme? Be', molto spesso
accade: si sogna qualcosa, e si sorride. E no, non c'è bisogno di
svegliarsi per sorridere. Anzi, a volte bisogna sognare per riuscire
ancora a farlo.
Sia come sia, la donna, che possiamo
chiamare ormai anche mamma, saltò semplicemente la pozzanghera,
senza curarsene più di tanto. No, non si bagnò la gonna, né il
bambino si svegliò. Fu un salto agile, bello.
Il terzo che si accorse (o incrociò)
la pozzanghera fu un bambino biondo. Aveva pantaloncini corti e
rossi, ed una maglia tutta colorata (non so esattamente i colori,
chiedete in caso al gatto-unicorno, se proprio vi interessa, ma non è
tanto importante, non credo). Appena si accorse della pozzanghera, ci
saltò dentro a piedi uniti, bagnandosi e sporcandosi tutti. Ci mise
dentro anche le mani, schizzò qualche passante, e poi corse via, per
non rischiare di prenderle o venire sgridato.
Si può dire che neppure si accorse di
quanto fosse sporca la pozzanghera. Del resto quello non è un lavoro
per tutti.
Poco dopo, arrivò una bambina: aveva
una gonna azzurra, ed una camiciola bianca. Boccoli scuri, e degli
occhialetti verdi sul nasino. Dapprima guardò la pozzanghera con
fare curioso, perplesso, forse: stette ferma ferma, a controllarla.
Poi se ne andò, e tornò con ben due secchi di plastica (uno bianco,
ed uno rosso, se siete degli appassionati dei dettagli): uno dei due
secchi era vuoto, l'altro era pieno d'acqua pulita e brillante.
E, come avrete oramai intuito da soli
(vero?) la bambina svuotò l'acqua sporca della pozzanghera con
l'aiuto del secchio vuoto, poi la riempì con l'acqua pulita e
brillante del secondo secchio.
Insomma, aveva cambiato l'acqua e
pulito la pozzanghera! Annuì soddisfatta, e se ne andò.
Subito dopo, il gatto-unicorno tornò
sui suoi passi: uscì dal suo nascondiglio (dal cespuglio) e
raggiunse la pozzanghera: aveva smesso di piangere. Ora sorrideva
felice (sì, il gatto-unicorno sorride come un bambino, più o meno).
Si guardò dentro la pozzanghera, che ora rifletteva sia lui sia
l'arcobaleno che ancora balenava (del resto cosa può fare un
arcobaleno?) nel cielo.
Quindi bevve un po' d'acqua, quanto
bastò per dissetarsi, e se ne andò.
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