giovedì 13 giugno 2013

La pozzanghera


La pozzanghera

 




Era appena finito il temporale, quando l'arcobaleno comparse nel cielo di quella grigia cittadina. Era ancora presto, ed il primo ad accorgersi della pozzanghera vicino al condominio fu il gatto-unicorno. Non era davvero un gatto-unicorno, ma sembrava: era completamente bianco, ma aveva un cornino nero sulla fronte, proprio in corrispondenza di un ciuffetto folto di pelo, come un corno scuro su un foglio bianco.
Il gatto-unicorno guardò dentro la pozzanghera, ma non vedeva né il suo riflesso, né quello dell'arcobaleno: l'acqua era troppo grigia, troppo scura, per riflettere il mondo: tratteneva troppo sporcizia. Non la si poteva neanche bere: si rischiava di venire contagiati da qualche malattia. Così, il gatto-unicorno pianse. Non si limitò a miagolare più forte e più acuto, come fanno i gatti normali che piangono. Ok, non era davvero un gatto-unicorno, ma qualcosa di singolare e speciale lo aveva davvero: piangeva proprio con lacrime umide e salate, come potrebbe piangere un bambino.
Così si allontanò, non di molto in verità: si nascose in un cespuglio vicino, e fisso là pozzanghera, per vedere cosa sarebbe successo, perché succede sempre qualcosa.

Infatti, il gatto-unicorno si accorse proprio di una piccola processione raggiungere la pozzanghera.
Il primo ad arrivare fu un uomo d'affari, appena uscito dal condominio. Lo si riconosceva subito: aveva un giacchettino a maniche lunghe, nonostante fosse estate e, dopo il temporale, non facesse freddo. Nella destra portava una valigetta scura, di pelle, di quelle che certi adulti chiamano “ventiquattrore” : perché ci mettono dentro quello che proprio non riescono a lasciare a casa, anche se stanno via molto meno di ventiquattro ore, che poi è un giorno intero. Peraltro, dimenticano sempre qualcosa, forse perché di quel qualcosa non si sono ancora liberati. Per quello se ne dimenticano.
Ad ogni modo, l'uomo d'affari camminò vispo, rapido, con tanta fretta di arrivare al lavoro: uno di quei lavori che tutto sommato non si sanno mai ben definire, ma dove – certamente – il tempo è denaro.
Si fermò alla pozzanghera, e rischiò quasi di finirci dentro con i suoi bei mocassini di pelle nera. Fissò l'acqua sporca, e cominciò ad agitare la ventiquattrore con dentro le sue belle cose. Era arrabbiato, furente, urlò qualcosa del genere (ma dovreste chiedere al gatto-unicorno per i dettagli) «Non si può davvero andare avanti così! Ma che razza di mondo è mai diventato questo! Qualcuno dovrebbe intervenire! Il sindaco, gli spazzini, possibile che vada tutto in malora? Non c'è più rispetto!» e cose di questo genere. Sbraitò per parecchi minuti, sventolando la sua preziosa ventiquattrore, poi se ne andò. Forse al lavoro, che il tempo è denaro.

La seconda ad accorgersi della pozzanghera, fu una donna dai capelli rossi rossi rossi e ricci ricci ricci: indossava un gonnone di quelli lunghi e colorati (che il gatto-unicorno definirebbe Hippie, ma chiedete a lui o a un altro adulto cosa intenda, io non saprei). Non era una donna giovane, ma era bella: anche perché aveva un bambino piccolo piccolo piccolo in braccio, che dormiva e sorrideva. Ora immagino che avrete le vostre contestazioni da fare: ma allora anche lui si accorse della pozzanghera? No, lui dormiva, quindi non la vide. Al massimo, la sognò. Ma c'è di meglio che sognare di una pozzanghera. E come faceva il bambino a sorridere e dormire insieme? Be', molto spesso accade: si sogna qualcosa, e si sorride. E no, non c'è bisogno di svegliarsi per sorridere. Anzi, a volte bisogna sognare per riuscire ancora a farlo.
Sia come sia, la donna, che possiamo chiamare ormai anche mamma, saltò semplicemente la pozzanghera, senza curarsene più di tanto. No, non si bagnò la gonna, né il bambino si svegliò. Fu un salto agile, bello.

Il terzo che si accorse (o incrociò) la pozzanghera fu un bambino biondo. Aveva pantaloncini corti e rossi, ed una maglia tutta colorata (non so esattamente i colori, chiedete in caso al gatto-unicorno, se proprio vi interessa, ma non è tanto importante, non credo). Appena si accorse della pozzanghera, ci saltò dentro a piedi uniti, bagnandosi e sporcandosi tutti. Ci mise dentro anche le mani, schizzò qualche passante, e poi corse via, per non rischiare di prenderle o venire sgridato.
Si può dire che neppure si accorse di quanto fosse sporca la pozzanghera. Del resto quello non è un lavoro per tutti.

Poco dopo, arrivò una bambina: aveva una gonna azzurra, ed una camiciola bianca. Boccoli scuri, e degli occhialetti verdi sul nasino. Dapprima guardò la pozzanghera con fare curioso, perplesso, forse: stette ferma ferma, a controllarla. Poi se ne andò, e tornò con ben due secchi di plastica (uno bianco, ed uno rosso, se siete degli appassionati dei dettagli): uno dei due secchi era vuoto, l'altro era pieno d'acqua pulita e brillante.
E, come avrete oramai intuito da soli (vero?) la bambina svuotò l'acqua sporca della pozzanghera con l'aiuto del secchio vuoto, poi la riempì con l'acqua pulita e brillante del secondo secchio.
Insomma, aveva cambiato l'acqua e pulito la pozzanghera! Annuì soddisfatta, e se ne andò.

Subito dopo, il gatto-unicorno tornò sui suoi passi: uscì dal suo nascondiglio (dal cespuglio) e raggiunse la pozzanghera: aveva smesso di piangere. Ora sorrideva felice (sì, il gatto-unicorno sorride come un bambino, più o meno). Si guardò dentro la pozzanghera, che ora rifletteva sia lui sia l'arcobaleno che ancora balenava (del resto cosa può fare un arcobaleno?) nel cielo.
Quindi bevve un po' d'acqua, quanto bastò per dissetarsi, e se ne andò.

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