Operazione in corso.
Si prega di attendere.
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Primo, mano sul mouse e sguardo sul monitor, osservò la scritta per qualche istante. Pochi attimi dopo ricevette la conferma di ordine ricevuto alla sua lista della spesa.
Operazione completata.
Mentre lo schermo informava della riuscita del processo, un macchinario a qualche decina di km di distanza dall'appartamento di Primo afferrava con un braccio meccanico le scatole di vivande e le posizionava su un nastro di scorrimento. Le scatole selezionate cadevano poco dopo in un cesto dove venivano imballate meccanicamente, infine, infilate nella conduttura a movimento automatico che porta a ogni casa della città, della regione, dello stato.
Primo si alzò con qualche difficoltà dalla sedia da lavoro – era seduto da molto – e si diresse verso la sala svago del suo appartamento al trentaquattresimo piano della torre sedici, sezione ventuno.
Digitò rapidamente qualche numero allo schermo da muro nell'angolo del piacere e, un istante dopo, comparve sul quadro virtuale una donna, bella e fredda che gli ricordò quanto male facesse il fumo. Terminato l'avviso di routine chiese a Primo: “Vuoi fumare comunque?”. Primo digitò la conferma schiacciando il tasto verde sulla cornice del quadro e quest'ultimo gli comunicò quanto dovesse pagare. Infilò qualche moneta dell'apposita fessura – non usava mai la carta di addebito in casa - e avvicinò la bocca alla fessura sottostante il quadro. Respirò ampiamente il fumo emesso dal foro apertosi dopo il pagamento, fino a quando, soddisfatto e sollevato, cominciò a tossire.
Ridigitò qualcosa al quadro, confermò alla domanda della solita donna e pose una bottiglia di vetro vuota sotto un secondo foro. Pagò e la bottiglia si riempì d'un liquore ambrato e denso. Ne bevve un sorso, poi tornò al tavolo da lavoro.
Mentre terminava, lo schermo – quello del fumo e del liquore - lo avvisò con un suono acuto che era arrivata la spesa. Si alzò di nuovo, raggiunse il quadro a fianco alla botola di comunicazione esterna e digitò la password. Dopo la sessione di riconoscimento vocale, la botola si aprì: dentro uno scomparto di due metri per due, tramite il sistema di condutture nazionale, la sua spesa era già arrivata, imballata e divisa in piccole scatole a seconda delle vivande. Ne prese una per volta per sistemarle nel piccolo magazzino di contenimento.
Aspettò qualche istante, poi prese una scatola a caso, l'aprì e la mangio direttamente dal contenitore col cucchiaio. In fondo, non aveva mai capito perché venissero così sistematicamente suddivise: avevano tutte lo stesso sapore.
Finito di mangiare, decise di uscire. Digitò qualcosa allo schermo principale e chiese alla donna virtuale il telefono. Inserì una moneta e da sotto la cornice venne fuori una cornetta rossa. Avvicinò la bocca all'apparecchio e avvisò il sistema (o chi per esso), che stava uscendo: sarebbe andato a fare una passeggiata sotto casa: sezione ventuno, torre sedici, quattordicesimo piano, appartamento E 2.
Schiacciò il tasto di conferma sulla cornice del quadro e aspettò la risposta, immobile. Qualche minuto dopo la donna gli diede convalida, e la porta di casa si aprì automaticamente, alzandosi scorrendo dal basso verso l'alto.
Primo uscì e la serranda si chiuse subito dietro di lui, scorrendo rapidamente dall'alto verso il basso. Guardò brevemente la porta chiusa: ad eccezione del perimetro nero, largo un centimetro esatto, che disegnava il contorno dell'entrata, e dei codici che identificavano il suo appartamento, l'entrata si confondeva nel grigio uniforme delle pareti del palazzo, anzi, del grigio uniforme di tutti i palazzi dentro al sistema. E Primo non si sarebbe mai sognato di pensare ad un palazzo fuori dal sistema.
Uscito dall'appartamento, Primo si diresse all'ascensore e dopo aver digitato la password di identificazione l'ascensore lo portò al piano terra. Cominciò a percorrere un enorme corridoio. Alto circa quattro metri e largo almeno otto. Le pareti qui erano quasi bianche, le piastrelle del pavimento erano molto grandi, e sembravano attutire il rumore dei suoi passi. Non poteva vedere molto lontano da sé, perché le grandi strisce al neon sopra di lui, al soffitto, si accendevano illuminando d'un bianco forte ed eccessivo solo lo spazio che Primo occupava, ossia un'aria di circa sei metri dli lunghezza. Dietro e davanti a lui restava buio, e con lui si muoveva la luce in quel percorso che, grazie allo spegnersi e all'accendersi dei neon, la luce faceva con lui. Il sistema era molto attento alle questioni di consumo energetico.
Pur non riuscendo a vedere un granché davanti a lui, d'improvviso Primo si fermò perché attratto da qualcosa che non era sicuro di aver visto. Proseguì di qualche passo con calma, sgranando gli occhi e cercando di focalizzare con lo sguardo quell'ombra così imprecisa. Si muoveva? Primo non riusciva ancora a capirlo, ma era sempre più attratto da quell'incertezza. Fece allora qualcosa di decisamente assurdo: si mise a correre. Corse verso quell'incertezza. Le lampade dietro di lui si spensero più rapidamente e quelle davanti a lui si accesero allo stesso ritmo: anche la luce si mise a correre. Era ancora a quasi una dozzina di metri dalla figura quando, stupito, riuscì a intravvedere una ragazza in questa. Decise di avvicinarsi, quando tutte le luci del corridoio si illuminarono di colpo. Non si limitarono ad accendersi come sempre, illuminando i suoi passi, ma lo accecarono. La luce era talmente forte da bruciargli gli occhi nonostante se li proteggesse con le mani. Si fermò come bloccato da una forza dell'inconscio quando alla luce accecante si aggiunse un rumore insopportabile: forte e penetrante era un'impossibile miscuglio tra una sirena industriale e una tromba da nave. Primo si ritrovò in ginocchio strizzando gli occhi con tutta la sua forza e proteggendosi le orecchie con entrambe le mani. Aprì solo per un istante l'occhio sinistro e riuscì a vedere una macchina, senza poterne distinguere la forma, trascinare via quella rara figura. Vide, affogata dalla luce, la sua bocca spalancarsi senza percepirne nessun urlo: quella tromba copriva ogni cosa, assorbendo ogni possibile grido, ogni possibile altro rumore. Dovette richiudere l'occhio e un attimo dopo sentì una botta al petto che gli rubò il fiato e si sentì trascinare via con forza da qualcosa di rigido e freddo.
Primo si svegliò qualche tempo dopo, nel suo appartamento al quattordicesimo piano della torre sedici, sezione ventuno. Aprì gli occhi ma riuscì a togliersi quella patina di luce bianca solo qualche minuto dopo: lentamente dalla luce emersero le sue mani, la poltrona sulla quale era seduto, il muro dell'appartamento, e la donna dello schermo, col suo volto di rimprovero, gli consigliò di rilassarsi mettendosi le cuffie: gli avrebbe fatto bene.
Tentò di rifiutare, ma la donna del monitor lo guardò male, mentre le luci incominciavano ad aumentare d'intensità e una vibrazione sonora cominciava insistentemente a farsi largo nella stanza. Primo gridò allo schermo che avrebbe seguito il consiglio, e inspirando abbondantemente, si portò le cuffie alle orecchie mentre, sullo schermo, i capelli biondi della donna volteggiavano intorno al suo viso, fino a farne scomparire lentamente i lineamenti e sostituendo al suo viso una spirale di colori variopinti e luminosi volteggiare caoticamente.
Dalle cuffie risuonava una melodia allucinante. Suoni acuti senza ritmo definibile né coerenza alcuna si alternavano ad alcuni giri di chitarra distorta e dei rombi meccanici sovrastavano spesso il tutto senza avviso. Ascoltando quella sinfonia malata e perturbante e fissando quel vortice di colori indefinibile cominciò a sentirsi rilassato e confuso. Stese le mani sui braccioli della poltrona e si tolse le scarpe, mentre la spirale luminosa gli entrava dentro le iridi e il suono avvolgeva i suoi timpani. Sentì più volte guizzi di ghiaccio percorrergli la spina dorsale e gocce di sudore caldo scendere dalla sua fronte, ma cominciava a sentirsi meglio.
Non voleva mai iniziare quel trattamento, ma quando lo faceva faticava a smettere, e per parecchi giorni non riusciva a farne a meno. Venti minuti dopo lo schermo s' annerì e la musica si spense del tutto. Rimase qualche istante al buio e nel silenzio, cercando inutilmente di ricordare cosa fosse successo nel pomeriggio, poi richiese la luce al computer dell'appartamento, e un bagliore caldo e moderato si diffuse, avvolgente, per tutta la sala.
Primo si alzò si diresse all'angolo del piacere. Chiese alla donna, bella ma fredda, del sesso e lei gli propose le dodici scelte al momento disponibili. Guardò le foto delle donne al video e scelse una brunetta dal sorriso gentile, gli occhi maliziosi e il seno piccolo ma sodo. Si levò la cinta e lasciò cadere i pantaloni alle caviglie, mentre la brunetta allo schermo si scioglieva i capelli. Primo afferrò le maniglie di metallo ai fianchi dello schermo, fissò il volto della donna del vetro e infilò con forza il sesso nell'apertura sotto il video. Spinse contro il muro e nell'apertura finché vide la brunetta godere e fino a quando non si sentì, fragile e abbandonato, aspirare dal foro al momento di massimo piacere. Posò la testa sul monitor respirando rumorosamente, fino a quando la solita figura femminile, nel solito tailleur grigio, gli pose la domanda. Primo poté sentirla dalla sue labbra virtuali e leggerla sullo schermo: “ Vuoi generare? ” . Primo negò col capo. “ No, grazie. ” Chiarì a voce. La donna annuì silenziosamente e si dissolse nel nero del video.
Primo aspettò che tutto fosse completamente aspirato, prima di togliere il pene dal foro e infilarsi mutande e pantaloni. Chiuse la fibbia guardando ancora la fessura nella quale era appena venuto mentre il suo seme, attraverso le apposite conduttore nazionali, veniva condotto automaticamente nel laboratorio genetico del sistema.
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