martedì 2 aprile 2013

Che fare? In Vino Veritas...


Una vecchia amicizia...


Troppi amici, non abbastanza amicizia. Alphonse Karr

È una fredda notte d'inverno quando due amici di mezza età escono dal bar. I due amici si chiamano Jack e Alfred; il bar si chiama "In Vino Veritas", con tutte le lettere maiuscole. Anche oggi hanno bevuto parecchio. In fin dei conti, è un modo come un altro di vivere la loro vecchia amicizia. Per utilizzare una frase d'altri tempi, si può dire che si conoscevano da una vita.
Il nome del bar gli venne in mente quasi quindici anni prima, così, chiaccherando e bevendo aperitivi in un pub del centro. Sembrò loro assurdo che nessun locale avesse ancora utilizzato un nome del genere. Classico, divertente, ironico.
Era un periodo in cui i due - questione di mesi l'uno dall'altro - furono licenziati.
 Una congiura, disse Jack. Sfiga, disse Alfred.
Qualcuno direbbe una fortuna per entrambi: uno lavorava come operaio in una delle poche ditte in piena catena di montaggio ancora esistenti in zona, l'altro come impiegato in un ufficio di marketing generalista. Un posto dove la gente chiede di fare pubblicità ad un prodotto che fino al giorno prima non conosce nessuno.
Jack aveva le mani segnate, e la mente quasi del tutto corrotta al ritmo di quella catena. Dodici secondi per pezzo. Pausa ogni due ore per riposare le mani.
Ogni tre per andare a pisciare, e la mente focalizzata su tutto tranne che sul lavoro, troppo stupido per doverci pensare davvero.
Alfred aveva un capo di merda, si credeva il più grande creativo di questo mondo, generando slogan banali e terribilmente noiosi, di quelli che appena li senti non puoi fare a meno di cambiare pagina, o canale, o sito.
Così, quasi in sincronia, uno venne licenziato per scarso e basso senso del ritmo, l'altro probabilmente per arroganza. Entrambi si dichiaravano inadatti per sottostare a quelle vecchie regole, volevano essere indipendenti, avere qualcosa di loro; volevano aprire un'attività, e lo fecero.

All'inizio fu dura, dovettero fare orari assurdi, litigare con le fidanzate, fare dei debiti. Ma poi le cose migliorarono. Riuscirono a dare un certo stile al locale, e riuscirono a mantenerlo. I clienti a cui piaceva quello stile - un po' sobrio, amichevole, con un buon servizio e happy hour abbondante - ci tornavano con piacere.
«L'idea non deve essere di riempire il locale, ma di far tornare la gente che ti piacerebbe tornasse», era un po' lo slogan di Alfred. A suo modo aveva fatto tornare utile la sua esperienza di marketer.
Per Jack era la loro amicizia ad essere un bonus per i clienti. Inoltre, lui era molto veloce nel servizio, e nella preparazione dei cocktail, fin troppo. Ogni tanto Alfred doveva ricordargli che non era più in una catena di montaggio.
È davvero singolare come il passato sappia ripresentarsi nelle nostre vite in forme diverse. Anche quello di cui pensavamo esserci liberati.

Più tardi, anni più tardi dall'apertura del loro bar, scoprirono che, in realtà, quel nome, in vino veritas, era utilizzato un casino; solo, non nella loro piccola città di confine. Ma lo tennero comunque. Era un po' come dare un senso a quell'origine. Il giorno di nascita di quell'idea, di quel lavoro. La loro rivalsa, ed una nuova fase della loro amicizia.

Anche quella fredda sera d'inverno, chiusero la serranda del bar molto tardi. Un paio di clienti affezionati si erano fermati per fare una partita a poker con i baristi. Vinsero loro. Ma diciamocelo, avevano il vantaggio di aver bevuto un po' meno.
I clienti se ne andarono, Jack e Alfred si fecero un altro paio di bicchieri, sistemarono il bancone, ripulirono velocemente i tavoli, e chiusero.
Il vento era fresco e pungente, ma dopo tante ore di lavoro nel bar lo accolsero con piacere. Oltrepassarono lentamente un paio di negozietti, chiusi da ore, per raggiungere il parcheggio vicino, dove erano soliti lasciare la macchina.
Erano immersi nel silenzio, e non c'era un'anima viva in giro, ma arrivati nel parcheggio scorsero la figura di un uomo. Vestiva un impermeabile nero, elegante, ed un cappello a tesa larga, scuro, gli nascondeva in buona parte il volto. In mano, teneva una specie di bastone.
Quando lo alzò e lo puntò dritto contro di loro, fu con un brivido di terrore che Jack ed Alfred capirono che non era un bastone. Era un fucile.
Il tizio li fissa per un po'. Zitto. I due baristi si guardano, fanno un mezzo movimento, ma quando quello allunga il braccio, le canne dell'arma puntate contro, capiscono che non possono scappare.
Poi la voce dell'uomo esce dal bavero dell'impermeabile «Buonasera. Ora faremo un gioco. Ecco le vostre regole: vi lancerò una pistola, il primo che ammazza l'altro, se ne torna a casa con il cuore che batte nel petto.» La voce maschile, neutra, par come recitare una parte.
I due si guardano nuovamente, non capiscono. L'uomo li punta ancora con il fucile, fa un passo in avanti, frugando con la mano libera nella tasca dell'impermeabile. Tira fuori una vecchia pistola revolver, a tamburo, e la lancia in mezzo ai due.
Jack ed Alfred guardano quell'arma a terra, ma non si muovono. L'uomo sospira. «Non avete capito, se non vi muovete vi ammazzo entrambi.» Gelo. Tensione che cresce, poi Jack fa un gesto col mento all'amico, si butta a terra, prende la pistola, e la punta contro l'uomo. Spara.
Nulla. Tira il grilletto più volte, ma niente. Solo vari click meccanici, vuoti. Un ritmo che non ferisce, non uccide. Soffia solo aria.
L'uomo mostra un sorriso. Ma non sembra scherzare. Non sembra un gioco. Guarda Jack e spiega con calma «Non funziona così: se ci tieni davvero a vivere, punta la pistola al tuo amico, e spara. Lo uccido io per te.»
Alfred scuote la testa, incredulo. Jack impallidisce, ancora in ginocchio, per terra. Fissa la pistola come potesse caricarla solo guardandola, poi in uno scatto, la punta su Alfred, preme il grilletto. Click. Boom.
L'uomo spara, Alfred sgrana gli occhi, viene buttato a qualche metro di distanza. Piomba per terra come un sacco pesante, inerte. Morto, e con il petto sporco di sangue.
Jack guarda il suo amico, poi l'uomo, la pistola scarica ancora tra le mani. Incapace di capire. Lo sconosciuto scuote il capo. «Che anima indifferente. Gli hai sparato davvero. Io non l'avrei mai fatto, a un vero amico no.» Si volta, e si allontana. Jack piange senza riuscire a capire quando abbia iniziato. Guarda l'impermeabile allontanarsi, perdersi nella notte, prima di ributtarsi sul cadavere dell'amico, inumidendone il corpo di lacrime.









Nessun commento:

Posta un commento

Dimmi che ne pensi