martedì 9 marzo 2021

Quale mondo vuoi?




 Un piccolo frammento di vita (più o meno immaginaria) che mi è arrivato da questa canzone di Laura Shigihara (e relativo gioco - Rakuen): 

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[Parco della betulla, Esterno Giorno, Sole. ]

Nel parco c'erano tanti alberi, ed anche laghetti, piccoli ponticelli, qualche giostra e più di un'altalena, ma soprattutto alberi. E uno di questi, era decisamente particolare: più particolare di tutti. Stava vicino alla grande villa neoclassica a poche centinaia di metri dall'ingresso principale del parco, ed era un'enorme betulla piangente. No, non un salice, proprio una betulla, con tanti di quei rami che scendevano fino a toccare terra... tanto da creare una specie di tenda, anzi, un vero e proprio salone naturale. Ci si poteva entrare e nascondere, senza neanche bisogno di stare rannicchiati o abbassare la testa. Per la verità, era talmente grande, lì sotto, che ci poteva stare una dozzina di persone, e c'erano perfino due panchine. Belle e bianche: come il tronco della betulla.


A volte la gente entrava sotto quei folti rami come si entra aprendo le tende, o in quei vecchi negozi dove molteplici fili di perline fanno da porta: bisogna stringere le mani per infilarle in una piccola sezione (tra un filo di perline e l'altro, o tra un ramo piangente e l'altro) e poi aprire le braccia, per allargare il varco ed entrare dentro in quella sorta di salone da ballo naturale, che era anche una specie di grande rifugio. Basta quindi fare un singolo passo e la cascata di perline (o di rami) si chiude dentro di te, facendoti quasi entrare in un altro mondo. Da fuori, non riuscivi davvero a vedere quello che c'era dentro.


A volte, non c'era niente di davvero interessante da vedere, ma un pomeriggio, quel pomeriggio, qualcosa di importante successe davvero. Ecco cosa.


Due ragazzini erano seduti per terra, vicino ad una panchina, bianca e bella, come la betulla dentro la quale erano nascosti. Uno aveva i capelli biondissimi, l'altro, rossicci. Uno era un poco più alto e magro, l'altro portava gli occhiali, ma si assomigliavano proprio tanto. Del resto, entrambi assomigliavano proprio tanto alla donna dai capelli chiari ed i grandi occhiali circolari seduta sulla panchina. Questa di tanto in tanto guardava i due ragazzi, ma perlopiù sembrava fissare il vuoto. O meglio, quella specie di muro naturale che i rami della betulla costruivano.


Ai piedi dei due ragazzi c'era un po' di tutto: ghiande, castagne, sassolini colorate e qualche foglia dalla forma interessante. Forse anche qualche cartaccia ed altro che avevano trovato e recuperato passeggiando per il parco.


I due bambini pescavano tra quelle cianfrusaglie, ne prendevano una e la mostravano all'altro, poi creavano una storia, o un mondo.


Per esempio, il rosso prendeva un sassolino bianco con al centro una sfumatura di blu e diceva: «Questo è un mondo fatto quasi interamente di sabbia bianchissima. Al centro c'è un enorme lago azzurrissimo e, almeno una volta nella vita, tutti gli abitanti delle sabbie bianche vanno a vedere il lago azzurro: un lago bellissimo e anche magico, perché ci si può respirare dentro e, forse anche per questo, non è abitato da pesci, ma da gatti, scoiattoli e cagnolini che ci nuotano dentro, fin nelle sue profondità».


Allora l'altro ragazzino prendeva una foglia verde verde e molto piatta e diceva qualcosa come: «Questo mondo è una nave gigantesca che vola nel vuoto. Una nave verdissima e fatta interamente di piante e liane, con alberi da frutta, orti e caramelle che crescono dal terreno. Ci si organizzano feste danzanti e canti lunghissimi. Continuamente, mentre la nave - quel mondo verdissimo - se ne va a spasso per il vuoto, quasi fosse un mare tutto nero, senza dentro niente».


Ancora, il rosso prese in mano un piccolo ombrello da cocktail, tutto rosso, e spiegò che quello era un mondo sempre all'ombra: perché stava sempre sotto un enorme ombrello, più grande di tutti i paesi del mondo. Era un bel mondo perché lì potevi rifugiarti quando il sole picchiava troppo, ma anche quando avevi bisogno di nasconderti: l'ombra ti dava, in qualche modo, la sensazione di protezione che cercavi.


Oppure, ancora, l'altro ragazzino prendeva in mano una ghianda con un buco dentro, e parlava di un mondo dove quasi tutto era dentro un'enorme caverna, con stalagmiti e stalagtiti fosforescenti e coloratissime. Questa caverna era talmente grande da contenere laghi, oceani, e perfino mondi con dentro grandi parchi dove si potevano trovare betulle piangenti abbastanza grandi da celare, sotto i suoi rami, delle sale da ballo, o almeno da pranzo.


La fantasia di questi ragazzi, che si scambiavano i loro mondi, come altri si scambiano le figurine, destò quel pomeriggio l'attenzione di due singolari personaggi.


Uno era un tipo molto alto, con un bel cappello rossiccio che lo faceva sembrare ancora più alto. Aveva degli strani braccialetti fosforescenti ed elettronici sul polso e se ne stava con un album da disegno appeso ad un leggio ed una tavolozza di colori davanti, e un pennello in mano. Era, ovviamente, un pittore, e stava disegnando qualcosa che quei due giovani avevano evocato. Non tanto lontano da lui, seduto sull'altra panchina sotto la grande betulla piangente, c'era un tizio con un bel pizzetto nero e gli occhiali da sole. Leggeva un enorme giornale ingiallito, ma spesso alzava lo sguardo castano verso i ragazzi, o verso l'artista, specie quando sentì quest'ultimo parlare.


Il pittore, infatti, dopo aver sentito il bizzarro gioco dei ragazzi, fece loro i complimenti e gli mostrò quanto aveva disegnato: una versione dei bambini da adulti, molto caratterizzata. Il biondo era dipinto come un esploratore. Lo si capiva dalle mappe che aveva in mano, il cannocchiale al collo, e la bussola nel taschino. Il ragazzino coi capelli rossi era rappresentato - sicuramente - come uno scrittore. Nel disegno aveva degli occhiali con la montatura a tartaruga e le dita sottili su una vecchia macchina da scrivere.


Il pittore, con un gran sorriso, incitava i ragazzi quando li vide curiosi e stupiti dalla sua opera. «Vedete, ragazzi, mi avete dato ispirazione per creare questo disegno. Per ringraziarvi, voglio ricordarvi che, se ci metterete tanto impegno, potrete diventare qualsiasi cosa! Nella vita, non importa cosa vi dicano gli altri, potete realizzare qualsiasi sogno, basta...» stava per andare avanti con ardore, quando il signore, alzando lo sguardo da sopra il giornale ingiallito, lo interruppe. «Non dovrebbe illuderli a quel modo».


«Prego?»


«Questo mondo è difficile e complesso, ed ovviamente la maggior parte della gente finirà a fare lavori umili e che non ha scelto. Solo pochissimi potranno davvero realizzare i propri sogni, e in un certo senso è giusto così: abbiamo bisogno di chi fa il pane, chi sta alla cassa e chi raccoglie pomodori molto di più di chi dipinge o esplora nuovi territori».


Il pittore rimase stupito da tanto cinismo. «Eppure, io credo che non bisogna mai arrendersi. Se si sa quello che si vuole, si può raggiungere, con impegno e dedizione, qualsiasi obiettivo. La vita non è solo quello che ci accade».


«Mi sembra piuttosto crudele come concezione».


«Ma come! Sono io quello che sta alimentando i loro sogni. Sono io quello che crede nella speranza e nell'impegno, lei sta dicendo a questi poveri ragazzi che il mondo è impietoso ed ingiusto».


«Veramente ho solo detto che non mi sembra il caso di alimentare false speranze. Inoltre, non c'è niente di male nello svolgere un lavoro semplice o meccanico... ed... ecco, nel suo discorso io vedo una grande cattiveria: parla di impegno e dedizione, di come bastino questi due elementi ad ottenere qualsiasi cosa. Alla fine il rischio è che chi per sfortuna o caso non riuscisse a realizzare i propri scopi non solo dovrebbe sentirsi frustrato per il mancato successo, ma dovrebbe perfino sentirsi in colpa: perché sarebbe solo di peso da loro, e non dalle circostanze avverse. Non sta facendo davvero un favore a questi due simpatici marmocchi».


Il pittore sembrava scandalizzato. «E quindi non dovrebero neanche tentare? O dovrebbero già credere che sia tutto una questione di fortuna o sfortuna? A volte questa è solo una scusa per non tentare! Se non si crede davvero in se stessi, si dà sempre la colpa a qualcosa di esterno. Si crede che se non si è riusciti in qualcosa è solo perché non si è stati capiti, e le circostanze sono state avverse: si rischia di essere dei falliti credendo di essere dei giganti, ma senza mai provarlo. É questo quello che vorrebbe, per questi due figlioli?»


«Io veramente dicevo solo che dovrebbero abbassare le aspettative: si vive molto meglio, se non ci si aspetta mai granché dalla vita. Si rischia meno di vivere di illusioni o di farsi fregare».


«Credo davvero che questo sia un terribile insegnamento da dare!»


Il signore con il giornale alzò le spalle, poi guardò verso la signora con i grandi occhiali rotondi dietro ai ragazzi, che sembrava aver ascoltato tutto il loro discorso, pur senza dire una parola. Era ovvio che fosse la loro madre. «E lei, signora, che cosa ne pensa?»


La mamma dei bambini - lo era effettivamente - guardò alternativamente i due signori, il pittore e l'uomo con il giornale. Se ne stette in silenzio per un bel po', come pensandoci sopra. Quindi sorrise, di un sorriso largo e aperto, ma strano, ad occhi più larghi degli occhiali grandi. Sorrise senza pensieri, senza futuro e senza passato. Poi, senza dire una parola, cercò qualcosa nella tasca, fino a trovarlo: un vivacissimo naso rosso. Se lo mise sul suo vero naso, coprendolo interamente. Poi, dalla borsa che aveva accanto, tirò fuori una sciarpa lunghissima e colorata, con la quale si avvolse il collo e le spalle e, infine, sempre dalla borsa, tirò fuori una banana. Se la portò all'orecchio e, alzandosi, cominciò a parlare, come fosse al telefono, ma in una lingua incomprensibile: «Aaaaaah, gherisbei, poten-damoi nucaratan, socheleman, dossemas, nipirmas doche!» e continuava, continuava come un fiume in piena, con parole che né il pittore né l'uomo con il giornale potevano afferrare: si limitarono a guardare la scena della signora con il naso rosso e la banana come telefono che se ne andava fuori dalla betulla piangente, mentre i due ragazzini, ridacchiando, la seguivano. Lasciarono i due uomini stralunati e confusi, per una volta senza parole. Tutti e tre teatralmente marciando, non come avanzano i soldati, non come strisciano i paurosi, ma come inciampano i clown.

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