Quattroangoli, era un paese strano. Non aveva proprio la forma di un quadrato o un rettangolo, ma aveva sicuramente quattro angoli. Probabilmente non aveva una forma precisa e regolare, ma sicuramente era divisibile per quattro: come una torta imperfetta ma equa.
Era un bellissimo paese. Non tanto
grande, ma tanto, tanto diverso e vario. Ogni angolo era differente
dagli altri: c’era natura, cultura, posti dove fare comunella e
altri dove pensare. E c’era anche un grande mistero e la paura.
Infatti, in uno dei suoi angoli, c’era
un bel bosco ed un lago, e poche case: la natura sembrava invadere
ogni cosa. O forse, la natura non invadeva proprio nulla: era
semplicemente dove doveva stare. Le case, le abitazioni e i pochi
edifici in questo angolo stavano ben tra le piante, l’erba ed i
boschi: a volte, tra edifici ricoperti d’edera, foglie e glicini
non sapevi dove finiva la natura e dove iniziava l’opera dell’uomo.
Un altro angolo era l’angolo dei
divertimenti: c’era il cinema, una palestra pubblica e gratuita, un
teatro all’aperto e una grande piazza dove gli abitanti di
Quattroangoli potevano incontrarsi per chiacchierare, raccontare
storie e giocare. Lì in mezzo, c’era anche una grande cassa con
dei palloni da utilizzare in caso di bisogno, per così dire.
Il terzo angolo, era il luogo
dell’educazione e del lavoro: c’era un grandissimo orto pubblico,
che tutti gli abitanti potevano coltivare secondo le loro esigenze;
una biblioteca piena zeppa di libri; una scuola piena zeppa di carte
e penne, una grande casa dove i viaggiatori potevano venire a
raccontare le loro storie e mostrare mappe e fotografie, e una grossa
falegnameria dove lavorare.
Il quarto angolo di Quattroangoli, era
però un vero mistero: nessuno lo conosceva davvero. Nessuno ne
parlava. Perché a tutti faceva paura. O forse faceva paura perché
nessuno lo conosceva. Questo mistero aumentava il desiderio di
conoscerlo, ma anche la paura di affrontarlo.
C’erano un sacco di storie, leggende
e dicerie sul quarto angolo di Quattroangoli.
I suoi abitanti
dicevano che era un angolo maledetto. Un luogo dove non tornava
nessuno, e forse mai nessuno ci si era avventurato. Ancora, c’era
chi sosteneva che in quell’angolo misterioso e spaventoso ci fosse
perfino un drago. Se ti avvicinavi di mattina, o meglio ancora verso
mezzogiorno, all'ingresso di quell’angolo, infatti, un’ombra
immensa sembrava avvolgerti e minacciarti: come se il drago aprisse
d’improvviso le ali per dare segno della sua presenza e per
impedirti di andare avanti. Tutti ne avevano paura. L’ombra era
l’essenza della paura degli abitanti: qualcosa di misterioso li
teneva lontano.
In effetti la cosa funzionava: alcuni
curiosi (stranieri ed abitanti di Quattroangoli) provavano, di tanto
in tanto, quando superavano la paura per le storie, le leggende e le
dicerie, ad entrare nel quarto misterioso angolo del paese. Ma, vista
quell’ombra, indietreggiavano spaventati e ci rinunciavano. Avevano
troppa paura: pensavano che quelle ali enormi e scure erano solo la
parte meno sinistra di una creatura che doveva essere enorme,
pericolosa e terrificante.
Così, pur essendo un paese molto,
molto vecchio, nessuno sapeva davvero cosa ci potesse mai essere nel
quarto angolo di Quattroangoli.
Un giorno, però, in un bimbo di nome
Arturo la curiosità vinse su ogni paura. Prese il giro largo,
indeciso sul da farsi: passò dal lago del primo angolo, alla piazza
del secondo angolo, poi davanti all’enorme orto del terzo. Inspirò
coraggio, chiuse gli occhi davanti all’ingresso del quarto: e
corse. Cominciò a correre più veloce che poteva: sentì il cuore
battere dentro di lui come non mai mentre sapeva di essere proprio
sotto l’ombra del drago. Tenne le palpebre ben chiuse, perché non
voleva vedere. Corse a perdifiato più che poté, poi dovette per
forza fermarsi, stremato.
Stanco morto, mise le mani sulle
ginocchia e recuperò fiato. Solo dopo alcuni lunghissimi secondi,
quando sentì delle voci vicine, aprì gli occhi: ciò che vide lo
stralunò e lo sorprese enormemente. C’erano delle piccole casette
bellissime, tutte colorate, con dei piccoli giardini per ciascuna.
Moltissimi alberi rigogliosi e pieni di frutta erano in perfetto
equilibrio con la città, e non c’era l’ombra di tristezza sui
volti dei molti bambini che vedeva giocare a palla.
Un signore intento a suonare il flauto
presso una panchina lo guardò, comprendendo la situazione e rise.
Arturo lo guardò e chiese: “Ma dov’è il drago di cui parlano
tutti?”
“Non c’è nessun drago” rispose
l’uomo con il flauto “Se non nei vostri cuori impauriti”, ed
indicò con il flauto verso l’alto: c’era un enorme aquilone
appeso ad un ancor più enorme pino. Da qui, alla luce giusta, si
vedeva quel bellissimo aquilone colorato e pieno di decorazioni
fantastiche. Ma dall’altra parte, alla luce per così dire
sbagliata, sembrava tutt’altro: l’ombra minacciosa e gigantesca
che proiettava sembrava quella di un pericolosissimo drago; ma alla
fine, non era che immaginazione.
La grande paura di Arturo, e
dell’intero villaggio di Quattroangoli, alla fine, era solo
un’ombra, che quel giorno si dissolse come neve al sole, o come la
strana ombra di una mano, quando si accende la lampadina o si apre
la finestra.
Nessun commento:
Posta un commento
Dimmi che ne pensi