venerdì 17 agosto 2018

La paura




Quattroangoli, era un paese strano. Non aveva proprio la forma di un quadrato o un rettangolo, ma aveva sicuramente quattro angoli. Probabilmente non aveva una forma precisa e regolare, ma sicuramente era divisibile per quattro: come una torta imperfetta ma equa.
Era un bellissimo paese. Non tanto grande, ma tanto, tanto diverso e vario. Ogni angolo era differente dagli altri: c’era natura, cultura, posti dove fare comunella e altri dove pensare. E c’era anche un grande mistero e la paura.

Infatti, in uno dei suoi angoli, c’era un bel bosco ed un lago, e poche case: la natura sembrava invadere ogni cosa. O forse, la natura non invadeva proprio nulla: era semplicemente dove doveva stare. Le case, le abitazioni e i pochi edifici in questo angolo stavano ben tra le piante, l’erba ed i boschi: a volte, tra edifici ricoperti d’edera, foglie e glicini non sapevi dove finiva la natura e dove iniziava l’opera dell’uomo.

Un altro angolo era l’angolo dei divertimenti: c’era il cinema, una palestra pubblica e gratuita, un teatro all’aperto e una grande piazza dove gli abitanti di Quattroangoli potevano incontrarsi per chiacchierare, raccontare storie e giocare. Lì in mezzo, c’era anche una grande cassa con dei palloni da utilizzare in caso di bisogno, per così dire.




Il terzo angolo, era il luogo dell’educazione e del lavoro: c’era un grandissimo orto pubblico, che tutti gli abitanti potevano coltivare secondo le loro esigenze; una biblioteca piena zeppa di libri; una scuola piena zeppa di carte e penne, una grande casa dove i viaggiatori potevano venire a raccontare le loro storie e mostrare mappe e fotografie, e una grossa falegnameria dove lavorare.
Il quarto angolo di Quattroangoli, era però un vero mistero: nessuno lo conosceva davvero. Nessuno ne parlava. Perché a tutti faceva paura. O forse faceva paura perché nessuno lo conosceva. Questo mistero aumentava il desiderio di conoscerlo, ma anche la paura di affrontarlo.
C’erano un sacco di storie, leggende e dicerie sul quarto angolo di Quattroangoli.
 I suoi abitanti dicevano che era un angolo maledetto. Un luogo dove non tornava nessuno, e forse mai nessuno ci si era avventurato. Ancora, c’era chi sosteneva che in quell’angolo misterioso e spaventoso ci fosse perfino un drago. Se ti avvicinavi di mattina, o meglio ancora verso mezzogiorno, all'ingresso di quell’angolo, infatti, un’ombra immensa sembrava avvolgerti e minacciarti: come se il drago aprisse d’improvviso le ali per dare segno della sua presenza e per impedirti di andare avanti. Tutti ne avevano paura. L’ombra era l’essenza della paura degli abitanti: qualcosa di misterioso li teneva lontano.

In effetti la cosa funzionava: alcuni curiosi (stranieri ed abitanti di Quattroangoli) provavano, di tanto in tanto, quando superavano la paura per le storie, le leggende e le dicerie, ad entrare nel quarto misterioso angolo del paese. Ma, vista quell’ombra, indietreggiavano spaventati e ci rinunciavano. Avevano troppa paura: pensavano che quelle ali enormi e scure erano solo la parte meno sinistra di una creatura che doveva essere enorme, pericolosa e terrificante.
Così, pur essendo un paese molto, molto vecchio, nessuno sapeva davvero cosa ci potesse mai essere nel quarto angolo di Quattroangoli.

Un giorno, però, in un bimbo di nome Arturo la curiosità vinse su ogni paura. Prese il giro largo, indeciso sul da farsi: passò dal lago del primo angolo, alla piazza del secondo angolo, poi davanti all’enorme orto del terzo. Inspirò coraggio, chiuse gli occhi davanti all’ingresso del quarto: e corse. Cominciò a correre più veloce che poteva: sentì il cuore battere dentro di lui come non mai mentre sapeva di essere proprio sotto l’ombra del drago. Tenne le palpebre ben chiuse, perché non voleva vedere. Corse a perdifiato più che poté, poi dovette per forza fermarsi, stremato.
Stanco morto, mise le mani sulle ginocchia e recuperò fiato. Solo dopo alcuni lunghissimi secondi, quando sentì delle voci vicine, aprì gli occhi: ciò che vide lo stralunò e lo sorprese enormemente. C’erano delle piccole casette bellissime, tutte colorate, con dei piccoli giardini per ciascuna. Moltissimi alberi rigogliosi e pieni di frutta erano in perfetto equilibrio con la città, e non c’era l’ombra di tristezza sui volti dei molti bambini che vedeva giocare a palla.
Un signore intento a suonare il flauto presso una panchina lo guardò, comprendendo la situazione e rise. Arturo lo guardò e chiese: “Ma dov’è il drago di cui parlano tutti?”

“Non c’è nessun drago” rispose l’uomo con il flauto “Se non nei vostri cuori impauriti”, ed indicò con il flauto verso l’alto: c’era un enorme aquilone appeso ad un ancor più enorme pino. Da qui, alla luce giusta, si vedeva quel bellissimo aquilone colorato e pieno di decorazioni fantastiche. Ma dall’altra parte, alla luce per così dire sbagliata, sembrava tutt’altro: l’ombra minacciosa e gigantesca che proiettava sembrava quella di un pericolosissimo drago; ma alla fine, non era che immaginazione.

La grande paura di Arturo, e dell’intero villaggio di Quattroangoli, alla fine, era solo un’ombra, che quel giorno si dissolse come neve al sole, o come la strana ombra di una mano, quando si accende la lampadina o si apre la finestra.

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