venerdì 17 agosto 2018

L'anziano e il bambino


L’anziano e il bambino



Alessandro, un ragazzino di circa otto anni dai bei capelli rossi e gli occhi chiari e vispi - da tutti chiamato Alex – stava passeggiando con la mamma presso un lungo marciapiede, non distante dalla riva di un piccolo lago. Era uno dei primi giorni d’estate e quella stava diventando una sorta di routine che avevano abbandonato durante il resto dell’anno. D’estate in un certo senso ci si risveglia, per questo genere di uscite all’aperto, e forse anche per altro.
La stessa routine, o una molto simile, ma più quieta, l’aveva un signore anziano, con un gran cappello di paglia in testa ed una vecchia camicia indosso: doveva abitare giusto dall’altra parte della strada. Alex l’aveva visto spesso: se ne stava seduto su una panchina sotto un gran pino che gli faceva ombra, nel pomeriggio tardivo. Bastone posato al suo fianco, una borsa con l’acqua vicino e un libro sulle ginocchia: gli occhi, solcati da rughe ed occhiaie, assorti sulle pagine e l’inchiostro, dietro spesse lenti degli occhiali con montatura a tartaruga.
Di norma Alex e la mamma passeggiavano per una mezz’ora su quel bel tratto pedonale, e spesso sua madre si fermava a chiacchierare con qualche amica o qualche conoscente che trovavano durante il percorso.
Quel giorno, Giulia – la madre del bambino, appunto – si era fermato qualche passo dietro ad Alex, fermandosi con un’ amica che non vedeva da parecchio tempo: il bambino già intuiva che ci sarebbe stata parecchio: sospirò, fece qualche saltello sul posto, poi si mosse, incuriosito, poco più avanti, verso l’anziano seduto sulla panchina.


Dapprima si limitò a guardarlo in silenzio, con le mani dietro la schiena. Per lunghi secondi, il signore si limitò ad ignorarlo: continuò la sua lettura, solo stringendo un po’ le gambe tra loro.
Alex allora tossì un poco. L’anziano non sentì il suo appello, o fece finta di non sentire. È una di quelle tecniche – esagerare le debolezze – che quel tipo di signori usano per il proprio vantaggio.
Però, al terzo tossire di Alessandro il signore non poté più far finta di nulla: tirò un gran sospiro, ed alzò lo sguardo stanco e scontroso verso il ragazzino: “Che vuoi?” chiese, con voce rude e roca, come secca.
“N-nulla”, rispose Alex, guardando prima i suoi occhiali spessi, poi le proprie scarpe. “Nulla di particolare”, corresse dapprima il tiro. Il signore sbuffò pesantemente, e fece per tornare a leggere, quando il bambino tornò alla carica: “Mi chiedevo come mai te ne stai tanto qui fermo sulla panchina.”
L’altro, in tutta risposta, e senza guardarlo davvero, alzò il libro, mostrando la copertina e tenendo con il pollice il segno su dove era arrivato con la sua lettura.
“Che libro è?”
Il signore alzò gli occhi al cielo: “Come non rispondere alle domande stupide dei bambini.” Brontolò.
Alex reclinò il capo fissando l’anziano, come ad interpretare la sua risposta. “È interessante?”
“Se riuscissi a leggerlo te lo direi. In ogni caso, non sembra abbastanza efficace.”
“Cosa vuol dire <<Efficace>>?”
L’uomo si prese una lunga pausa, guardò la strada come in cerca di qualcuno, e scosse pesantemente la testa quando comprese che la madre stava perdendo tempo dietro ad un’amica. Rubò altri secondi all’attesa di Alex, per prendere la bottiglia d’acqua dalla borsa, e berne un lungo sorso, ma con calma. O meglio, piano piano, perché di calma non ne aveva: era colmo di nervoso.
Lo sguardo di Alex, come il continuo tamburellare del suo piedino erano ancora ben attivi.
“Non lo so, prova a cercarlo sul vocabolario a casa.”
Alex si morse la guancia, dall’interno. “Ma non posso signore, sono qui con mia mamma e...”
“Fermati, ti prego.”
Alessandro sorrise e stette immobile, in piena vista, come a fare la bella statuina.
L’uomo non sorrise per nulla al suo piccolo scherzo: borbottò rauco qualcosa di incomprensibile, poi tossì un paio di volte, infine, guardando male Alex riprese: “Sto seduto su questa panchina perché c’è ombra e fa fresco, e leggo questo libro perché non voglio parlare con nessun altro, specie se è un moccioso come te.”
Il bambino deglutì, guardo il vecchio, guardò il bastone, accennò un “Ma… ma”, poi ci rinunciò e corse via dalla madre, prendendole la mano e stringendola. Finirono prima il cammino, quel giorno, perché Alex non volle ritornare davanti all’anziano.
Quest’ultimo riprese la lettura, ma spese un secondo o due a guardare mamma e bambino che si allontanavano, brontolando qualcosa alle pagine del libro.
Dopo una mezz’ora, l’uomo si stancò della lettura: prese il bastone, la borsa dell’acqua, e si avviò verso casa. In effetti, dovette solo attraversare la strada e percorrere pochi metri, ma non poté entrare nella sua villetta. Questa si trovava su una breve salita, aveva un piccolo giardino sull’ingresso ed un cancello pedonale per accedervi. Non poteva entrare perché un grosso camper aveva parcheggiato proprio davanti al cancello. Lo spazio tra il cancello e la vettura era talmente piccolo che ci sarebbe passato a malapena un bambino, figuriamoci un anziano con il bastone, la borsa ed il cappello.
L’uomo borbottò arrabbiato tra i denti, sbuffò e si guardò intorno, ma non vide nessuno. Notò poi che un finestrino del grande camper era aperto: cercò di guardarci dentro, ma era troppo in alto. Allora lanciò dentro una voce, che è un modo un po’ bizzarro per dire che gridò in quella direzione: “Ehi! Ha parcheggiato quest’affare proprio davanti al mio ingresso, se ne deve andare!”. Ma non ricevette nessuna risposta.
Colpì due o tre volte la scocca – ossia l’esterno – del camper con il bastone, e riprovò: “Che razza di posteggio è questo! L’educazione! Deve andarsene!”. Tentò di nuovo, con voce talmente roca ed arrabbiata che dovette fermarsi per tossire e riprendere fiato. Sbuffò, e aggirò il camper: notò allora che anche la porta era aperta, non solo la finestra.
Rimase piuttosto stupito della cosa, e scosse la testa, ancora adornata dal grande cappello di paglia. Fece il terzo tentativo: “Devo entrare in casa e lei mi blocca l’ingresso!” brontolò a voce forte. Nulla. Ancora nessuna riposta. Si guardò ancora intorno, poi decise di entrare. Si appoggiò con la mano libera al bordo interno del camper, con il bastone sul gradino di ferro, e con una spinta salì il primo gradino, poi il secondo. Dovette solo scostare una tenda rossastra che copriva quasi per intero la vista dell’interno.
Dentro, non c’era nessuno. Ma lo spazio sembrava molto più vasto che visto dall’interno. L’uomo non era un esperto di camper, ma non ne aveva mai visto uno così: ad una prima occhiata non vide né un cucinino né l’accesso al posto guida: un’altra tenda, come quella precedente, forse copriva anche quello. In pratica, sembrava di stare dentro uno strano salottino: c’era un tavolino di legno, perfettamente rotondo. Una piccola libreria sulla sinistra e, presso il tavolino, una bellissima poltrona alta, che sembrava comodissima.
L’uomo non resistette, e decise di sedercisi. Era davvero comodissima. Sprofondò tra quella bella morbidezza per un istante e, un attimo dopo, iniziò una piccola musica di sottofondo: qualcosa di leggero e dolce, come la musica di un carillon. Si guardò un attimo intorno, dapprima, ma poi si rilassò.
Allora notò che c’era un piccolo scatolone messo proprio sul tavolo, davanti a lui. Lo guardò stranito sotto la montatura a tartaruga e gli occhiali spessi, poi ci guardò dentro: c’erano dei disegni, alcuni colorati, altri a matita: semplicemente delle vignette disegnate a mano, dalla carta spessa, come cartoline. Erano parecchie: cominciò ad osservarle. Una per una. Una era la foto di una tavolata di quelli che, dalle espressioni gioiose e ridenti, le mani sulle spalle e la vicinanza, sembravano amici. Un’altra rappresentava un bellissimo tramonto sul mare estivo. A seguire il disegno di una baita di montagna, sullo sfondo di una collina boschiva. Poi due ragazzi che stavano abbracciati, l’uno con la fronte appoggiata a quella dell’altra. Ancora, c’era il disegno di un libro, una scritta illeggibile al posto del titolo ma, dove presumibilmente doveva esserci il nome dell’autore, c’era scritto: “io”. Ancora, una cartolina rappresentava quella che pareva una mostra, con tanti disegni appesi alla parete. Infine, una rappresentava varie lettere sparse su un tavolo, con dei nomi propri scritti sopra, come destinatari.
Al suono di quella musica, l’uomo si sentì strano, entrando in quella che pareva una scatola di ricordi o forse di speranza dell’uomo del camper, o forse la donna. Sentiva crescere dentro, insieme, una tenerezza mista a malinconia, e una confusione di fondo. Sospirò pesantemente, mentre la rabbia per il pessimo posteggio era ormai scemata.
Fu allora che notò un bigliettino ingiallito proprio davanti a lui, sul fondo dello scatolone. La scrittura a mano, in bella calligrafia diceva: “Buona sera, signore o signora. Io non so chi tu stia, ma ti sto regalando tutto ciò che non mi sono mai regalato. I miei sogni. Le mie cadute. Le mie speranze: come quella di mettere a frutto la mia passione, il disegno. O il rimpianto di non essere stato vicino agli amici come avrei voluto. O di essermi preso il tempo per un bel viaggio in montagna, e neanche quello di fermarmi a vedere un bellissimo tramonto. Lo sa che ce n’è uno al giorno, e che ce ne dimentichiamo quasi sempre? Di quante altre cose ci dimentichiamo? Dei pensieri che coviamo nel cuore, e non abbiamo avuto il coraggio ed il tempo di rivelare alle persone care. Di sorridere senza motivo, di giocare come quando eravamo bambini. Ci siamo dimenticati di essere felici, per correre dietro a cose superflue o già scritte da altri.
Così, la scatola dei miei sogni è diventata la scatola dei miei rimpianti: sperò però possa essere spunto per realizzare i suoi, di desideri profondi. Spero che possa essere per lei una lezione: non ci manca il tempo, ci manca la voglia di sentirlo. Spero che ora lei possa sentirlo, come ora sente questa musica di carillon. Buona fortuna, signore o signora. Le auguro davvero una bellissima vita, e un magnifico tempo.”
L’anziano deglutì. Tornò a rileggere quel biglietto, e poi a guardare le varie vignette per svariati minuti: ora ad ognuna poteva dare diversi significati. Distratto, uscì poi lentamente dal camper e, soprappensiero, ripercorse la strada appena fatta a ritroso: riattraversò la strada, si fermò a guardare la panchina sulla quale era rimasto seduto a leggere e la strada sulla quale avevano camminato Alex e sua madre. Sospirò e, quando si voltò, si stranì nel notare che il camper non c’era più. Si guardò in giro a lungo, poi scrollò le spalle e tornò verso casa: questa volta non c’era nulla ad impedirgli l’ingresso.
Il giorno seguente, Alex e sua mamma camminavano per il solito marciapiede. Il bambino si guardò intorno, poi mirò con lo sguardo alla panchina dove, il giorno prima, aveva incontrato il vecchio: il signore era ancora là. Cappello di paglia in testa, occhiali sul muso, una borsa al fianco.
Dapprima era un po’ nervoso, ma la madre lo tranquillizzò con qualche carezza. Quando i due furono nei pressi della panchina, Alex cercò di non guardare il signore, immaginando che quello, così facendo, non gli avrebbe rivolto la parola.
“La storia del cavaliere in rosso” disse l’uomo. Alex si limitò a guardarlo perplesso, fu invece la madre a chiedere “Prego?”. L’uomo continuò: “È il libro che sto leggendo. La storia di un capitano di ventura che, per il mantello che indossava nei suoi viaggi e nelle sue imprese, veniva chiamato in quel mondo” alzò le spalle “Un libro noioso, a dire il vero, ma mai quanto lo sono stato io ieri con suo figlio. Me ne scuso”.
La donna sorrise e, dopo qualche secondo, più timidamente, sorrise anche Alex. Ma quella piccola giravolta delle previsioni non finì lì. L’uomo borbottò di aspettare e frugò nella borsa, fino a trovarvi una matita colorata ed un quadernetto, che consegnò al bambino. “Più che la storia del cavaliere in rosso, sarebbe bello leggere la storia del giovane senza rimpianti: più che di eserciti, parlerebbe di amicizie. Più che di combattimenti, parlerebbe di tramonti e buona musica. Più che di insulti, parlerebbe di poesie, chiacchiere al fuoco e risa sguaiate. O di curiosità svelate e desideri raggiunti. propose infine al bambino che, recuperate matita e quaderno ringraziò sorridendo, prima di riprendere la via.
L’uomo mise via il libro del cavaliere, guardò per un poco mamma e bambino, poi aspettò il tramonto. Piccole avventure compiute e traguardi raggiunti. Un giorno, se vuoi, leggeremo qualcosa insieme”




Nessun commento:

Posta un commento

Dimmi che ne pensi