L’anziano e il bambino
Alessandro, un
ragazzino di circa otto anni dai bei capelli rossi e gli occhi chiari
e vispi - da tutti chiamato Alex – stava passeggiando con la mamma
presso un lungo marciapiede, non distante dalla riva di un piccolo
lago. Era uno dei primi giorni d’estate e quella stava diventando
una sorta di routine che avevano abbandonato durante il resto
dell’anno. D’estate in un certo senso ci si risveglia, per questo
genere di uscite all’aperto, e forse anche per altro.
La stessa
routine, o una molto simile, ma più quieta, l’aveva un signore
anziano, con un gran cappello di paglia in testa ed una vecchia
camicia indosso: doveva abitare giusto dall’altra parte della
strada. Alex l’aveva visto spesso: se ne stava seduto su una
panchina sotto un gran pino che gli faceva ombra, nel pomeriggio
tardivo. Bastone posato al suo fianco, una borsa con l’acqua vicino
e un libro sulle ginocchia: gli occhi, solcati da rughe ed occhiaie,
assorti sulle pagine e l’inchiostro, dietro spesse lenti degli
occhiali con montatura a tartaruga.
Di norma Alex e
la mamma passeggiavano per una mezz’ora su quel bel tratto
pedonale, e spesso sua madre si fermava a chiacchierare con qualche
amica o qualche conoscente che trovavano durante il percorso.
Quel giorno,
Giulia – la madre del bambino, appunto – si era fermato qualche
passo dietro ad Alex, fermandosi con un’ amica che non vedeva da
parecchio tempo: il bambino già intuiva che ci sarebbe stata
parecchio: sospirò, fece qualche saltello sul posto, poi si mosse,
incuriosito, poco più avanti, verso l’anziano seduto sulla
panchina.
Dapprima si
limitò a guardarlo in silenzio, con le mani dietro la schiena. Per
lunghi secondi, il signore si limitò ad ignorarlo: continuò la sua
lettura, solo stringendo un po’ le gambe tra loro.
Alex allora tossì
un poco. L’anziano non sentì il suo appello, o fece finta di non
sentire. È una di quelle tecniche – esagerare le debolezze – che
quel tipo di signori usano per il proprio vantaggio.
Però, al terzo
tossire di Alessandro il signore non poté più far finta di nulla:
tirò un gran sospiro, ed alzò lo sguardo stanco e scontroso verso
il ragazzino: “Che vuoi?” chiese, con voce rude e roca, come
secca.
“N-nulla”,
rispose Alex, guardando prima i suoi occhiali spessi, poi le proprie
scarpe. “Nulla di particolare”, corresse dapprima il tiro. Il
signore sbuffò pesantemente, e fece per tornare a leggere, quando il
bambino tornò alla carica: “Mi chiedevo come mai te ne stai tanto
qui fermo sulla panchina.”
L’altro, in
tutta risposta, e senza guardarlo davvero, alzò il libro, mostrando
la copertina e tenendo con il pollice il segno su dove era arrivato
con la sua lettura.
“Che libro è?”
Il signore alzò
gli occhi al cielo: “Come non rispondere alle domande stupide dei
bambini.” Brontolò.
Alex reclinò il
capo fissando l’anziano, come ad interpretare la sua risposta. “È
interessante?”
“Se riuscissi a
leggerlo te lo direi. In ogni caso, non sembra abbastanza efficace.”
“Cosa vuol dire
<<Efficace>>?”
L’uomo si prese
una lunga pausa, guardò la strada come in cerca di qualcuno, e
scosse pesantemente la testa quando comprese che la madre stava
perdendo tempo dietro ad un’amica. Rubò altri secondi all’attesa
di Alex, per prendere la bottiglia d’acqua dalla borsa, e berne un
lungo sorso, ma con calma. O meglio, piano piano, perché di calma
non ne aveva: era colmo di nervoso.
Lo sguardo di
Alex, come il continuo tamburellare del suo piedino erano ancora ben
attivi.
“Non lo so,
prova a cercarlo sul vocabolario a casa.”
Alex si morse la
guancia, dall’interno. “Ma non posso signore, sono qui con mia
mamma e...”
“Fermati, ti
prego.”
Alessandro
sorrise e stette immobile, in piena vista, come a fare la bella
statuina.
L’uomo non
sorrise per nulla al suo piccolo scherzo: borbottò rauco qualcosa di
incomprensibile, poi tossì un paio di volte, infine, guardando male
Alex riprese: “Sto seduto su questa panchina perché c’è ombra e
fa fresco, e leggo questo libro perché non voglio parlare con nessun
altro, specie se è un moccioso come te.”
Il bambino
deglutì, guardo il vecchio, guardò il bastone, accennò un “Ma…
ma”, poi ci rinunciò e corse via dalla madre, prendendole la mano
e stringendola. Finirono prima il cammino, quel giorno, perché Alex
non volle ritornare davanti all’anziano.
Quest’ultimo
riprese la lettura, ma spese un secondo o due a guardare mamma e
bambino che si allontanavano, brontolando qualcosa alle pagine del
libro.
Dopo una
mezz’ora, l’uomo si stancò della lettura: prese il bastone, la
borsa dell’acqua, e si avviò verso casa. In effetti, dovette solo
attraversare la strada e percorrere pochi metri, ma non poté entrare
nella sua villetta. Questa si trovava su una breve salita, aveva un
piccolo giardino sull’ingresso ed un cancello pedonale per
accedervi. Non poteva entrare perché un grosso camper aveva
parcheggiato proprio davanti al cancello. Lo spazio tra il cancello e
la vettura era talmente piccolo che ci sarebbe passato a malapena un
bambino, figuriamoci un anziano con il bastone, la borsa ed il
cappello.
L’uomo borbottò
arrabbiato tra i denti, sbuffò e si guardò intorno, ma non vide
nessuno. Notò poi che un finestrino del grande camper era aperto:
cercò di guardarci dentro, ma era troppo in alto. Allora lanciò
dentro una voce, che è un modo un po’ bizzarro per dire che gridò
in quella direzione: “Ehi! Ha parcheggiato quest’affare proprio
davanti al mio ingresso, se ne deve andare!”. Ma non ricevette
nessuna risposta.
Colpì due o tre
volte la scocca – ossia l’esterno – del camper con il bastone,
e riprovò: “Che razza di posteggio è questo! L’educazione! Deve
andarsene!”. Tentò di nuovo, con voce talmente roca ed arrabbiata
che dovette fermarsi per tossire e riprendere fiato. Sbuffò, e
aggirò il camper: notò allora che anche la porta era aperta, non
solo la finestra.
Rimase piuttosto
stupito della cosa, e scosse la testa, ancora adornata dal grande
cappello di paglia. Fece il terzo tentativo: “Devo entrare in casa
e lei mi blocca l’ingresso!” brontolò a voce forte. Nulla.
Ancora nessuna riposta. Si guardò ancora intorno, poi decise di
entrare. Si appoggiò con la mano libera al bordo interno del camper,
con il bastone sul gradino di ferro, e con una spinta salì il primo
gradino, poi il secondo. Dovette solo scostare una tenda rossastra
che copriva quasi per intero la vista dell’interno.
Dentro, non c’era
nessuno. Ma lo spazio sembrava molto più vasto che visto
dall’interno. L’uomo non era un esperto di camper, ma non ne
aveva mai visto uno così: ad una prima occhiata non vide né un
cucinino né l’accesso al posto guida: un’altra tenda, come
quella precedente, forse copriva anche quello. In pratica, sembrava
di stare dentro uno strano salottino: c’era un tavolino di legno,
perfettamente rotondo. Una piccola libreria sulla sinistra e, presso
il tavolino, una bellissima poltrona alta, che sembrava comodissima.
L’uomo non
resistette, e decise di sedercisi. Era davvero comodissima. Sprofondò
tra quella bella morbidezza per un istante e, un attimo dopo, iniziò
una piccola musica di sottofondo: qualcosa di leggero e dolce, come
la musica di un carillon. Si guardò un attimo intorno, dapprima, ma
poi si rilassò.
Allora notò che
c’era un piccolo scatolone messo proprio sul tavolo, davanti a lui.
Lo guardò stranito sotto la montatura a tartaruga e gli occhiali
spessi, poi ci guardò dentro: c’erano dei disegni, alcuni
colorati, altri a matita: semplicemente delle vignette disegnate a
mano, dalla carta spessa, come cartoline. Erano parecchie: cominciò
ad osservarle. Una per una. Una era la foto di una tavolata di quelli
che, dalle espressioni gioiose e ridenti, le mani sulle spalle e la
vicinanza, sembravano amici. Un’altra rappresentava un bellissimo
tramonto sul mare estivo. A seguire il disegno di una baita di
montagna, sullo sfondo di una collina boschiva. Poi due ragazzi che
stavano abbracciati, l’uno con la fronte appoggiata a quella
dell’altra. Ancora, c’era il disegno di un libro, una scritta
illeggibile al posto del titolo ma, dove presumibilmente doveva
esserci il nome dell’autore, c’era scritto: “io”. Ancora,
una cartolina rappresentava quella che pareva una mostra, con tanti
disegni appesi alla parete. Infine, una rappresentava varie lettere
sparse su un tavolo, con dei nomi propri scritti sopra, come
destinatari.
Al suono di
quella musica, l’uomo si sentì strano, entrando in quella che
pareva una scatola di ricordi o forse di speranza dell’uomo del
camper, o forse la donna. Sentiva crescere dentro, insieme, una
tenerezza mista a malinconia, e una confusione di fondo. Sospirò
pesantemente, mentre la rabbia per il pessimo posteggio era ormai
scemata.
Fu allora che
notò un bigliettino ingiallito proprio davanti a lui, sul fondo
dello scatolone. La scrittura a mano, in bella calligrafia diceva:
“Buona sera, signore o signora. Io non so chi tu stia, ma ti sto
regalando tutto ciò che non mi sono mai regalato. I miei sogni. Le
mie cadute. Le mie speranze: come quella di mettere a frutto la mia
passione, il disegno. O il rimpianto di non essere stato vicino agli
amici come avrei voluto. O di essermi preso il tempo per un bel
viaggio in montagna, e neanche quello di fermarmi a vedere un
bellissimo tramonto. Lo sa che ce n’è uno al giorno, e che ce ne
dimentichiamo quasi sempre? Di quante altre cose ci dimentichiamo?
Dei pensieri che coviamo nel cuore, e non abbiamo avuto il coraggio
ed il tempo di rivelare alle persone care. Di sorridere senza motivo,
di giocare come quando eravamo bambini. Ci siamo dimenticati di
essere felici, per correre dietro a cose superflue o già scritte da
altri.
Così, la scatola
dei miei sogni è diventata la scatola dei miei rimpianti: sperò
però possa essere spunto per realizzare i suoi, di desideri
profondi. Spero che possa essere per lei una lezione: non ci manca il
tempo, ci manca la voglia di sentirlo. Spero che ora lei possa
sentirlo, come ora sente questa musica di carillon. Buona fortuna,
signore o signora. Le auguro davvero una bellissima vita, e un
magnifico tempo.”
L’anziano
deglutì. Tornò a rileggere quel biglietto, e poi a guardare le
varie vignette per svariati minuti: ora ad ognuna poteva dare diversi
significati. Distratto, uscì poi lentamente dal camper e,
soprappensiero, ripercorse la strada appena fatta a ritroso:
riattraversò la strada, si fermò a guardare la panchina sulla quale
era rimasto seduto a leggere e la strada sulla quale avevano
camminato Alex e sua madre. Sospirò e, quando si voltò, si stranì
nel notare che il camper non c’era più. Si guardò in giro a
lungo, poi scrollò le spalle e tornò verso casa: questa volta non
c’era nulla ad impedirgli l’ingresso.
Il giorno
seguente, Alex e sua mamma camminavano per il solito marciapiede. Il
bambino si guardò intorno, poi mirò con lo sguardo alla panchina
dove, il giorno prima, aveva incontrato il vecchio: il signore era
ancora là. Cappello di paglia in testa, occhiali sul muso, una borsa
al fianco.
Dapprima era un
po’ nervoso, ma la madre lo tranquillizzò con qualche carezza.
Quando i due furono nei pressi della panchina, Alex cercò di non
guardare il signore, immaginando che quello, così facendo, non gli
avrebbe rivolto la parola.
“La storia del
cavaliere in rosso” disse l’uomo. Alex si limitò a guardarlo
perplesso, fu invece la madre a chiedere “Prego?”. L’uomo
continuò: “È il libro che sto leggendo. La storia di un capitano
di ventura che, per il mantello che indossava nei suoi viaggi e nelle
sue imprese, veniva chiamato in quel mondo” alzò le spalle “Un
libro noioso, a dire il vero, ma mai quanto lo sono stato io ieri con
suo figlio. Me ne scuso”.
La donna sorrise
e, dopo qualche secondo, più timidamente, sorrise anche Alex. Ma
quella piccola giravolta delle previsioni non finì lì. L’uomo
borbottò di aspettare e frugò nella borsa, fino a trovarvi una
matita colorata ed un quadernetto, che consegnò al bambino. “Più
che la storia del cavaliere in rosso, sarebbe bello leggere la storia
del giovane senza rimpianti: più che di eserciti, parlerebbe di
amicizie. Più che di combattimenti, parlerebbe di tramonti e buona
musica. Più che di insulti, parlerebbe di poesie, chiacchiere al
fuoco e risa sguaiate. O di curiosità svelate e desideri raggiunti.
propose infine al bambino che, recuperate matita e quaderno ringraziò
sorridendo, prima di riprendere la via.
L’uomo mise via
il libro del cavaliere, guardò per un poco mamma e bambino, poi
aspettò il tramonto. Piccole avventure compiute e traguardi
raggiunti. Un giorno, se vuoi, leggeremo qualcosa insieme”
Nessun commento:
Posta un commento
Dimmi che ne pensi