giovedì 19 luglio 2018

Sole rosso



Sole rosso, rosso di sangue tagliato dalle sbarre della cella. Odore di polvere e di vita spezzata. La puzza di un criminale inglese lascia il posto a quella di un ribelle scozzese: la mia.

Mi rallegra il fatto di valere più di un frocetto in rosso. Mi rode d’avergli salvato le terga.

Così ha deciso quel grand’uomo di Cumberland. Macellaio di sogni e di scozzesi, figlio d’un bastardo inglese.

C’eravamo quasi. Edimburgo è stata nostra: Auld Reekie, vecchia sporca città. Liberata dai lealisti: nostra.

Signoreiddio, roba da storia. Loch nan Uamh, radura di Arisaig lo vide per primo: Bonnie Prince Charles, il giovane pretendente, figlio di Giacomo. Sbarcò in Caledonia e radunò i Clan Cameron e MacDonald a Glenfinnan sotto lo stendardo Stuart. Da lì a poco, il ‘45. La nostra riscossa.

Le truppe inglesi di Highbridge non ci videro neanche, che già gli avevamo schiaffeggiato le chiappe. Il reverendo John Cope, esimia testa di fango, capo delle guardie di Edimburgo pensò bene di anticiparci ad Inverness. Perfetto: lo lasciammo pascolare per occupare comodamente la città e Holyrood Palace.

Bonnie Prince Charlie: Re di Scozia. Dovevamo solo farlo sapere. E con lui, l’indipendenza.

John Cope pensò di riprendersi la città, ma dovette ricredersi quando un branco di gonnellini, mazze, asce, cornamuse e quanto Dio lasciava nelle mani dei nostri lo stesero. In dieci minuti.

Dieci minuti e quelli si ritrovarono più in mutande di noi. E il Bel Charlie, padrone di Scozia.

Non gli bastò. Esaltati dalle vittorie, entrammo in Inghilterra; destinazione: Londra. Alzare la parrucca di Giorgio ed abbellirgli il cranio di una sciabola celtica.

Cadde Carlisle, poi Manchester, poi Derby. Un’orda di Tartan incazzati. Alla parola “Claymore”, segnale d’attacco, rivoltavamo gli Inglesi con cariche, urla e mazzate. Un gioco semplice, finché riesci a convincerti che è un gioco.

Dio solo sa quanto avremmo potuto prendere perfino Londra. Centoventisette miglia, e Giorgio sarebbe stato nostro.

Se quei dannati francesi non si fossero persi in mare.

Se Bonnie avesse dato retta a Murray il soldato, e non a O’Sullivan lo scribacchino.

Se Dio avesse puntato un po’ di più su questi bizzarri giacobiti.

Allora Londra sarebbe in Scozia, e la Scozia sarebbe Libera.

Risalimmo nell’inverno verso Glasgow, poi ancora ad Inverness. “Per ritrovare le forze, per risollevare il morale”. Avevamo morale sufficiente per farlo piombare sul Re!

Vincemmo a Falkirk, ma non era lì che dovevamo vincere. Cumberland ci stava sempre dietro. Come una mamma diffidente, come un gratta borse, come un cane bastardo.

Prima o poi avremmo dovuto incontrarlo, il cane. Straziati dalle battaglie, esaltati ed ammaccati dalle vittorie, delusi dall’allontanarsi dalla meta. Quattrocento uomini ci arrivarono direttamente dal fronte lealista, traditori mandati da una donna infedele al marito, ma fedele alla Scozia. Lady Mackintosh. Grazie, colonnello Anne.

Il giorno fu Il 17 Aprile del ‘46.

Il luogo fu Culloden. Blàr Chùil Lodair.

Il quindici, avremmo dovuto assaltarli il quindici. Il compleanno del duca: acquavite doppia per i soldati. Avremmo dovuto prenderli mentre ancora si scaldavano la gola. Il tempo di qualche rutto e avrebbero vomitato anche il cuore.

Ma le contese interne, le decisioni sul modo di agire non ci permisero di farlo in fretta, di sfruttare il tempo propizio, l’attimo fatale, bagnato di festa e vapori alcolici.

Gesù santo, fu un disastro. Al nostro “Claymore!” ci infangammo nella radura di Culloden. Fango che rallentava, ginocchia che crollavano su quel terreno che di cariche scozzesi non ne voleva sapere. E quelli sparavano che Dio la mandava.

Spade contro moschetti. Scudi contro baionette. Per non parlare dei Cannoni. Solo gli Hannover, alleati del Duca, erano pari a noi di numero. In più avevano i dragoni e traditori dei Clan.

Ci scontrammo nella nebbia, cadendo prima di arrivare. Le cornamuse si spensero nel sangue e tra il rombo dei fucili.

Cumberland ordinò di finire i feriti, di inseguire i fuggitivi. Lord Kerr ed il generale Hawley li stanarono sulle colline.

Quasi novemila patrioti scozzesi caddero a contemplare quell’ «azione così grande; quella vittoria così completa».

Io la contemplo nella solitudine di una cella. Serrando gli occhi per non vedere il sole. Per non vedere il sangue. Quello che non vedrò più sono i tartan strappati dalla tradizione scozzese. Quello che non sentirò più sono le nostre cornamuse.

Cumberland ha sbattuto fuori i criminali inglesi dalle prigioni per fare posto a noi. I pochi rimasti dall’orrore di Culloden. Mi chiedo perché lo faccia: ci resteremo poco.

Ecco, non posso sfuggire al sole: mi buttano fuori in catene, nel piazzale aperto. Vedo qualche compagno, la folla d’insulti, i ricordi degli spettri.

Ringhio al boia: un attimo di paura sul suo viso, prima che mi ammazzi.

A forza mi sbattono sul patibolo. La corda al collo, e negli occhi il fiore di Scozia.

Poi il sole rosso.

Rosso del mio sangue.

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