giovedì 19 luglio 2018

Versioni

Di ogni storia ci sono almeno due versioni: quella ufficiale e quella ufficiosa.
La prima è quella che si diffonde tra la gente, quella che il protagonista accetta pubblicamente e, di norma, è un discreto tessuto di stronzate ricamate intorno ad una piccola pezza di verità.
E’ alla storia ufficiale che spetta il gravoso viaggio dalle bocche alle orecchie della gente – con qualsivoglia intermediario uno preferisca – è questa versione della storia che ingrassa a non finire ad ogni passaggio, esplodendo parole unte di grasso e infinite interpretazioni per il mondo.
La versione ufficiosa è più intima: odora di lenzuola nuove e caffè a letto. La si racconta a chi, si spera, non ha la tendenza a diffondere i tuoi segreti come fossero volantini per l’inaugurazione del nuovo locale in centro.
Se il protagonista della storia, poi, è giovane e i genitori non sono ancora stanchi di preoccuparsi per lui, allora esistono almeno tre versioni del suo racconto: la terza esiste solo per mamma e papà.

Una lunga strada asfaltata si allunga tra due corridoi di case popolari, si estende pigramente e mal trattata fino a frantumarsi in piazza del Popolo in una serie di vie minori. Un sole grigio da cui dipartono molteplici raggi della stessa tonalità, ma diversa intensità. Un nucleo atomico che spara i suoi elettroni verso l’esterno: ionizzazione urbana.
Noi seguiamo una scheggia che si muove direttamente verso il centro storico. Una strada che perde l’asfalto improvvisamente, appena si passa sotto un arco di torri romane: porta Torre. L’asfalto si sgretola e si ricompone in un tappeto di ciottoli grigio bianchi; le ruote delle macchine lasciano il posto alle scarpe e ai sandali delle persone. Le case popolari si dileguano per far spazio ai negozi per turisti: trappole per topi che si credono uomini. Con loro, ai fianchi delle strade, gli uffici legali, qualche piccola banca, i dentisti. Superiamo la piazza, lasciamo la diffusione del libro al suo destino e andiamo a farci una birra. Anzi, siamo già lì.




I grossi tavoli di legno sono segnati da infinite scritte dei clienti e, forse, dei gestori. Nel nostro locale se non lasci un segno del tuo passaggio, non esisti. Quindi bevi e scrivi sul tavolo, sulle liste – dopo aver vanamente tentato di dividere il menù dalle scritte degli avventori – dunque ordini un “Zamboni è gay medio” e aspetti che la cameriera, che è anche barista, che è anche proprietaria, che è anche cassiera, che è anche cliente del bar di fianco nella stessa serata, sparisca nelle nebbie del fumo del locale e ritorni, come apparizione divina, a portarti quanto non hai ordinato al tuo tavolo.
E’ a quel punto che Rev alza la sua Guinnes rossa doppio luppolo in un flute da champagne e, guardando gli altri con un occhio spento come incatramato di cataratta, chiede «Storia ufficiale o storia ufficiosa?». Max toglie i gusci delle cozze dal suo panino al prosciutto e fa «Parti da quella per i tuoi.»
Rev si lancia in bocca salatini assortiti prelevati da una tazza rossa per cappuccini e comincia altalenando lo sguardo tra i compari del tavolo 12,7 «Storia per i miei: semplice…» sgranocchia un po’ e subito riparte convinto «Dovevamo giocare a soft air nel pratone dietro casa di Zac.» Zac annuisce ingurgitando Red Bull e Vodka alla pesca. «Ecco.. i miei sanno che è successo che, diligentissimi e premurosissimi» segue un coro univoco «Ci mancherebbe» al quale Rev annuisce solidale confermando il rituale. «Già indossando le protezioni caricavamo le armi nel garage di Zac e per sfiga divina parte un colpo da un fucile, questo rimbalza per nero diabolico sul muro e mi finisce nella fessura laterale della mascherina protettiva», fissa il bicchiere vuoto ed ordina altro: inutile specificare, arriverà quel che arriverà. La cameriera multiuso sparisce nel fumo e Rev conclude con gesto epico «Il resto sono ticket dell’ospedale e visite dall’oculista. »
Gli altri annuiscono; sgranocchiano qualche patatina possa spalmata come burro su un toast al salmone e Max, come programma chiede «Ora la storia ufficiale».
La cameriera riemerge dal nulla, tra le mani un vassoio di Das sul quale giace un bicchierone da long drink ripieno di Macallan dodici anni fino all’orlo e lo consegna al gioioso Rev «Ecco perché mi piace questo locale» brinda e trangugia «Perché è come quella metafora della vita in Forrest Gump: “La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita”» osserva la passività degli altri e aggiunge, tanto per chiarire «E a volte ti va di culo».
Max sospira, prende un’altra tortina al cacao e pesche sciroppate e masticando succo e granuli marroncini incita «A proposito di culo: muoviti e passa alla storia ufficiale ».
E Rev, dopo aver agitato e sfregando le natiche sulla sedia vistosamente, riparte «Storia ufficiale: eravamo sempre a voler giocare a Soft Air al pratone di Zac» Zac non perde occasione per confermare «Ci prepariamo nel suo garage, senza ancora metterci le protezioni, perché, cazzo, uno di norma le mette quando incomincia a giocare e si spara addosso, non quando prova nel garage di Zac.» Appurato che gli altri sono d’accordo, riprende «Ecco, parte per fottuto errore un colpo dal fucile di Gimmi e mi finisce nell’occhio sinistro»
Max lo guarda stuzzicandosi i denti con un coltello di plastica «Il destro.»
«Il destro.»
Gimmy spalma le acciughe sulle sue patatine piccanti e richiede «Storia ufficiosa?»
«Storia ufficiosa» prima che possa dire qualcosa Gimmi lo anticipa «Eravate in garage e…»
Rev shackera la testa «Nein. Eravamo già a giocare nel prato con le protezioni eccetera. Tre squadre. Tutti contro tutti.» E’ il turno di Broggi per interromperlo «Una figata, il prato dietro casa di Zak è enorme» Zak conferma. «C’erano le balle di fieno del contadino. Quelle rotonde grosse come una macchina, e le usavamo come trincee, i due trattori dello zio di Zak come protezioni e sparavamo alla grande, poi quando Rev è morto… »
«Aspetta. Ordine nella storia.» Zak annuisce. Rev può continuare mentre Max tiene per le spalle Broggi per calmarlo, poi gli offre una pinta di vino bianco frizzante per lo stesso motivo. «Giocavamo alla grande da quasi tutto il pomeriggio, poi ci siamo presi una pausa per bere e mangiare qualcosa. Andiamo nel capannone dello zio di Zak e, tra una cazzata e l’altra, vediamo una maschera da apicoltore». Zak si sente in dovere di, oltre a confermare, spiegare che «Mio zio tiene le api. »
Gli altri annuiscono seriamente per poi fissare l’occhio buono di Rev «Vediamo sta cazzo di maschera e faccio a Gimmi: “Figa. Dici che la si può usare al posto della maschera protettiva?” Così decidiamo di provarla. La faccio mettere a Gimmi, mi metto a una quindicina di metri, prendo la mira e gli sparo in faccia.» Max rimesta i pistacchi assortiti con le dita e commenta «Non potevate provarla sparandoci e lasciandola per terra?».
Rev lo guarda, tamburella con le dita sul tavolo per lunghi, lunghi secondi. Facciamo minuti. Beve il suo whisky e poi scrolla le spalle «Non ci abbiamo pensato». Zak conferma e la storia continua «Sparo in faccia a Gimmi, che ha sta merda di maschera. Plink. Rumore metallico e il proiettile viene deviato. “Funziona!” diciamo e quindi la provo io. Gimmi si mette a una quindicina di metri, prende la mira, spara.» Max rimesta il suo beverone di orzata, tamarindo, latte e cointreau e «E stavolta non ha preso il bordo metallico della maschera.»
Questa volta confermano tutti tranne Zak.
Rev riprende. «Cazzosamente giusto. Il proiettile perfora la retina della maschera e, fanculo, mi va dentro nell’occhio. Da lì non vedo un cazzo dall’occhio sinistro»
«Destro»
«Destro. Però faccio finta di un cazzo, almeno per un po’. Mi dico che passerà presto e mi convinco abbastanza bene per continuare a giocare.»
A questo punto Broggi, liberatosi di Max e liquidato il vino bianco prende la palla al balzo. «Sì, riprendiamo. Solo che non ci vede un cazzo e quindi tempo due minuti e muore. Allora io salto fuori urlante “Aaaaaaaahhh!” e sparo a tutti come un bastardo. “Colonnello ti difendo ioooo!”. Sparo, faccio capriole, urlo» e quasi si mette a farle sul tavolo «E li ammazzo tutti. Squadra di Rev vince!» lancia al cielo le mani e lava l’intero locale con la nuova, ancora indecifrata ordinazione che teneva nella destra.
Max si pulisce con un fazzoletto, lo annusa. «Gin. Bianco Sarti. Martini bianco… succo di limone e cedrata. », quindi raffredda i bollori di Broggi «E intanto il defunto Colonnello Rev è al pronto soccorso – alleluia – per farsi vedere l’occhio a puttane»
Zak conferma. Rev pure.
«Sì. Per un po’ non ho proprio visto un cazzo. Mi son sorbito le prediche dell’infermiere, del medico, del centralino: tutti a darmi dello stronzo» Max lo guarda “Be’..”
«Ok, sono stronzo. Anche sfigato però: Gimmi non si è fatto un cazzo.»
Gimmi fa spallucce e ingoia una fetta di pizza alle olive e ananas.
«Ad ogni modo: dapprima mi dicono che, salcazzo, ho l’occhio o una sua parte che non mi ricordo come si chiama piena di sangue. Devo aspettare qualche giorno perché si pulisca e possano guardarci dentro. E magari io rischio pure a vedere qualcosa.»
Max frega un pezzo di pizza a Gimmi che lo ringrazia sinceramente «Consolati: ora vedi metà delle cazzate di questo mondo.»
Rev lo ferma «Aspetta. Alla fine passano ‘sti giorni, il sangue se ne va fuori dai coglioni. Anzi, dalle orbite e torno in ospedale. Attesa. Infermiere. Dottore. Visita: nella pratica se il proiettile avesse preso l’occhio solo poco di lato, la retina sarebbe andata a puttane e non ci vedrei un cazzo. Mi è andata mezza di culo e ho perso quattro diottrie »
«Mica male»
«Che sfiga..»
«Inoltre per uno strano meccanismo di pressione che non ho capito, se faccio sforzi eccessivi, per ora, l’occhio fa salcazzo cosa, mi da fastidio e mi viene da sboccare per sbalzi di pressione. Però mi è capitato solo un paio di volte.»
«Eh, non andare in palestra stasera o là scopriranno nuove forme di vita provenire dal tuo stomaco e da questo locale. »
Broggi si alza in piedi, sudato, e con la brocca della birra vuota in mano minaccia l’intera clientela brandendo il vetro sporco come un fucile «Aaaaaah! Ti proteggo io Colonnello!»

Spostiamoci dal tavolo, dalla comitiva, dal locale. Siamo fuori a fumarci l’ultima sigaretta. La spegniamo sotto le scarpe e ci diciamo «E ora la storia vera..»

{La storiella prende spunto da un vero episodio}

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